Rigoletto alla Serban belcanto e poco sesso di Giorgio Pestelli

Rigoletto alla Serban belcanto e poco sesso L'opera in scena per il bicentenario della Fenice Rigoletto alla Serban belcanto e poco sesso VENEZIA. Nessuno è ruzzolato dal palcoscenico inclinato della Fenice e i nudi in casa del duca erano da film storico per ragazzi; ma anche così questo «Rigoletto» inaugurale nel bicentenario del teatro veneziano è uno spettacolo piuttosto personale, con cose belle e brutte, vecchie e nuove; alla fine, applausi unanimi per la compagnia vocale, con contrasti per il direttore vjekoslav Sutej e per il regista Andrei Serban. La regìa, d'accordo con le scene di Gianni Quaranta, punta la sua attenzione esclusiva sulla maledizione con cui Monterone fulmina Rigoletto: la prospettiva scenica fugge verso il fondo seminando oggetti e figure in rapinosa inquietudine (di qui l'inclinazione del palco che crea non pochi inconvenienti alla disinvoltura degli interpreti); i costumi (di Dada Saligeri) a corte sono rinascimentali, a casa sono otto- centeschi, a sottolineare una duplicità per altro già eloquente nei fatti; la festa dell'esordio, con la musica più realistica del mondo, ha qualcosa di surrealistico nell'enfasi di luci ed ombre e nel rilievo monumentale di strane figure allegoriche (a fare il Centauro, i veneziani hanno potuto vedere il loro gigantesco campione della Regata storica). Bella la scena dell'incontro fra Rigoletto e Sparafucile appiattiti su un nero muro di fondo; e ancora me¬ glio il muro in obliquo, per aprire la strada in profondità e dividere la scena in due, esterno e interno, come richiesto dall'incalzare della vicenda. Brutta invece, e brutta tanto, la scena della taverna trasformata in una fredda e rituale casa di appuntamenti. Rigoletto, una volta finita la sua giornata di buffone, come Canio nei «Pagliacci», si toghe la giubba, la mette in valigia e se ne va a casa come un commesso viaggiatore; un Rigoletto in bor¬ ghese, senza berretto a sonagli e abito a scacchi, accresce la pena del personaggio; specie per la grande, umanissima interpretazione di Leo Nucci, che lo scava in tutto l'arco dei suoi sentimenti. Il duca di Mantova dovrebbe essere la sua antitesi, ma il tenore Vincenzo La Scola, pur dotato di mezzi vocali di tutto rispetto, a me sembra fuori parte; gli manca del duca la leggerezza, l'indifferenza, la simpatia; ma la responsabilità è anche dell'impostazione registica, che, tutta presa dalla cupezza della maledizione, non mostra nessun interesse per il mondo spensierato del duca. Eppure questo contrasto è basilare per la drammaturgia verdiana: l'alto voltaggio sentimentale di Rigoletto, che ama, odia, piange, impreca, dileggia, giura vendetta ha bisogno di depurarsi nella mancanza di sentimenti del duca, nel suo canterellare leggero e senza impegno: «La donna è mobile» non tollera vibrati o ispessimenti di sorta. Antitesi di Rigoletto non può essere Gilda che ne rappresenta anzi la nostalgia d'innocenza. E June Anderson incarna il personaggio con ammirevole proprietà (a lei e a Nucci sono andati gli applausi più fragorosi): belcantista agguerrita, ha cantato il «Caro nome» con la freschezza dell'allodola mattutina, precisa come uno strumento in quegli abbellimenti che incarnano così bene l'ingenuità della stolida ragazza. Capace però del più eroico dei salti nel buio; e proprio alla sua morte, consumata in un al¬ lucinato tumulto di luci, la regìa di Serban dedicherà nell'ultima scena la sua saliente novità: come una farfalla dalla sua crisalide, Gilda (cioè la sua anima) esce dal sacco e se ne va a piccoli passi a raggiungere la madre in cielo, raffigurato dalle ruote angeliche di un pannello sceso nel frattempo a separare lei e un Rigoletto ormai mentecatto dal peggiore dei mondi possibili. Nel cast va ricordato ancora lo Sparafucile, di straordinario rilievo, incarnato da De Grandis; da mettere ancora a punto la Maddalena dalla Lazzarini. Il direttore Sutej, nel suo impegno nel melodramma italiano più tipico continua ad alternare buone intenzioni di fraseggio e di individuazione con strane scelte di tempo e qualche scollamento fra il palco e l'orchestra. Giorgio Pestelli Una scena tratta dal «Rigoletto» alla Fenice, regia di Andrei Serban, direttore Vjekoslav Sutej. I nudi in casa del duca sono stati considerati da film storico per ragazzi

Luoghi citati: La Maddalena, Mantova, Venezia