D'Artagnan sfodera il microfono

D'Artagnan sfodera il microfono I primi vent'anni della radio italiana: in un libro protagonisti e retroscena D'Artagnan sfodera il microfono E Carosio fa «vedere» Italia-Cecoslovacchia E il 21 aprile del 1927. Si celebra a Milano, in piazza del Duomo, il Natale di Roma, che da alcuni anni ha sostituito il Primo Maggio quale festa dei lavoratori. Otto taxi, noleggiati per l'occasione, vengono sistemati nell'ampio spazio per amplificare, con dei rudimentali altoparlanti fìssati sul tetto, i discorsi ufficiali, radiotrasmessi. Sul sagrato, il federale milanese Mario Giampaoli, in camicia nera, si rivolge alla folla, mentre un pensoso Arnaldo Mussolini, alla sua sinistra, lo osserva accarezzandosi la guancia. Ai lati, due grosse e informi bocce bianche, come di zucchero filato, ad un esame attento si rivelano per quello che sono, e cioè due microfoni, avvolti in fazzoletti bianchi per attenuare i fruscii della giornata ventosa. E' il Radiorario (dal 1930 Radiocorrìere) a pubblicare queste fotografie, ristampate ora in un illustratissimo volume dello storico Gianni Isola {L'immagine del suono. I primi vent'anni della radio italiana, Firenze, Le Lettere), dotato anche di un agile testo. Una storia visiva della radio può sembrare un paradosso. La radio, a differenza della televisione, non trasmette immagini. Però certamente le produce: foto, copertine di periodici, pubblicità, disegni, caricature... gli apparecchi stessi, nella loro evoìuzione stilistica, dai primi semplici ricevitori a galena al littorio e popolare «Radiobalilla». Nel '27 il regime è ormai consolidato, ma non ha ancora preso piena coscienza dell'importanza politica dello strumento radiofonico. Lo stesso Mussolini al microfono preferisce il contatto diretto con le masse. L'Unione radiofonica italiana (Uri), nata nel '24, è in procinto di trasformarsi nella più strutturata Eiar, che però solo nel settembre del '33 finirà sotto l'ala protettrice del sottosegretariato stampa e propaganda affidato al genero del Duce, Galeazzo Ciano (reduce da un viaggio di istruzione in Germania, «sulle orme» di Goebbels). Ed ecco i ritratti di alcune «voci» dell'epoca. Sfilano Roberto Forges Davanzati, severamente baffuto, che commenta i fatti del giorno «da un punto di vista eminentemente fascista»; un ispirato Fulvio Palmieri, già precettore dei figli di Mussolini, poi braccio destro del direttore generale dell'Eiar, Raul Chiodelli, e animatore di quasi tutte le trasmissioni speciali per le forze armate; un marziale Franco Cremascoli, con Palmieri fra i più attivi propagandisti del regime (soprawiveranno entrambi all'epurazione, mantenendo funzioni dirigenziali nella Rai del dopoguerra). Nel '39 l'emarginato Farinacci cerca di risalire la china, lanciando il Premio Cremona di pittura. Quale è il tema prescelto? «Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce». Vince le 40 mila lire stanziate (circa 35 milioni di oggi) il piacentino Luciano Ricchetti, con la tetra rappresentazione di un interno rurale, che ricorda i coevi esempi di realismo socialista. Ma la radio del Ventennio non è esclusivamente propaganda; è pure una grande macchina da spettacolo, che per tutto il periodo dedicherà mediamente fra il 51 e il 56 per cento della programmazione alla musica (specialmente operistica) e alle canzoni. E' vero che il regime tende a privilegiare gli ascolti collettivi («la campagna del grano») a quelli individuali, ma certo vuole anche mostrare un volto rassicurante e tradizionale. E' così che la radio incide sempre più sul costume e sulle abitudini degli italiani, diventando, ad esempio, un momento di aggregazione delle famiglie. Con alcuni inconvenienti. «A mio marito piace sentire la radio stando a letto», si lamenta un'ascoltatrice: «Non ci sarebbe niente di male se non avesse la brutta abitudine di fumare e se nella stanza non dormissero anche i bambini». In compenso come documenta il libro - si assiste a sempre più diffusi fenomeni di «radiofonia marina», all'aria aperta. Una graziosa fanciulla, in castigatissimo costume da bagno, si appoggia languidamente al suo apparecchio, protetta da un ombrellone nero. Due felici coppiette fanno i classici «quattro salti» sulla spiaggia, precorrendo con garbo i fracassoni degli odierni stabilimenti balneari. I bambini ricevono un trattamento particolarmente attento. Al mattino c'è la radio per le scuole. Al pomeriggio, ogni stazione ha il suo zuccheroso «can¬ tuccio» per l'infanzia, con favole, teatrini, concorsi a premio, canzoncine. A Roma spopolano il maestro Cesare Ferri («Nonno Radio») e la prima annunciatrice italiana, Maria Luisa Boncompagni («Zia Radio»). Gli iscrìtti alla «Nipoterìa» ricevono una tesserìna con le alate parole del Duce: «Dovrete essere i custodi fedeli per tutta la vita della nuova eroica civiltà». Nasce il divismo radiofonico, che coinvolge annunciatori, cantanti (vedi le colorite copertine del Canzoniere Italiano), attori, direttori d'orchestra, persino predicatori, primo fra tutti padre Vittorino Facchinetti, qui ritratto con lo sguardo bonario e il nasone, a fianco di altri «colleghi» ormai dimenticati. Nel '34 esplodono Nizza e Morbelli con la prima serie de I quattro moschettieri, parodia di Dumas, parole e musica in libertà attraverso una rilettura ironica di classici e romanzi d'appendice, con azzeccati stravolgimenti delle canzonette e delle arie più in voga. Il successo - grazie anche all'abbinamento con le celebri figurine Buitoni e Perugina - è enorme. Tanto che, per nostra fortuna, la Cetra registra su disco alcune puntate del programma e le commercializza. Ma divi si diventa anche in altri campi, principalmente attraverso le radiocronache di avvenimenti sportivi, calcio e ciclismo in testa. Lo spettacolo sportivo si salda con la volontà del regime di mostrare un'immagine gagliarda e di vigore fisico. Per il ciclismo è Mario Ferretti ad emergere, con le sue eccitate cronache degli arrivi al Giro d'Italia o al Tour de France. Per il calcio non v'è chi non ricordi Niccolò Carosio, il cui esordio risale al 1° gennaio 1933 con l'incontro Italia-Germania a Bologna, ma che diviene una celebrità l'anno successivo, con la trascinante radiocronaca di Italia-Cecoslovacchia per la finale della Coppa Rimet (vinta dalla nostra squadra). «Si aveva l'impressione di "vedere"», scrive il Radiocorriere, «ed è questa la più alta impressione che possa dare il suono». Ma esiste oggi la possibilità di ascoltare (o di riascoltare, per i più anziani) qualcuna delle trasmissioni di allora? Purtroppo no, se non in misura risibile. L'archivio della Rai è molto carente. Né pare che la situazione sia migliore per i programmi più recenti, se l'estate scorsa un personaggio come Renzo Arbore si è lamentato apertamente all'apprendere che le registrazioni di Alto gradimento sono andate quasi tutte perdute. Forse bisognerebbe provare a raccogliere, con uno sforzo congiunto pubblico e privato, quel poco (o molto) che è rimasto in mano agli eredi dei protagonisti di un tempo. Altrimenti ci si dovrà accontentare delle immagini del suono, o, per le anime più sensibili, del suono delle immagini. Sandro Gerbi // trionfo venne coni Moschettieri e roventi cronache di calcio e ciclismo Grande macchina da spettacolo, mutò il costume riunì le famiglie «Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce», il dipinto Premio Cremona 1939. Sotto, Forges Davanzati, celebre radio-commentatore, e Niccolò Carosio Altoparlanti su un taxi a Milano il 21 aprile'27. A destra, un ricevitore «Ramazzotti» del 1926 Grande macchina da spettacolo, mutò il costume riunì le famiglie 1 f i *|(S«*~ // trionfo venne coni Moschettieri e roventi cronache di li ili Altoparlanti su un taxi a Milano il 21 aprile'27. A destra, un ricevitore «Ramazzotti» del 1926 «Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce», il dipinto Premio Cremona 1939. Sotto, Forges Davanzati, celebre radio-commentatore, e Niccolò Carosio