JOYCE l'odissea nello scandalo

JOYCE l'odissea nello scandalo L'«Ulisse» compie 70 anni. La vita clandestina di un grande classico, che a lungo nessuno osò pubblicare JOYCE l'odissea nello scandalo CERMANIA, 1935: un giovane che vuol diventare scrittore acquista un libro stampato ad Amster—Idam dall'Odissey Press. E' l'Ulisse di James Joyce, il capolavoro proibito, da tempo al bando nel mondo anglosassone. Il giovane scrittore si chiama Anthony Burgess, e sta facendo ritorno a Londra. Prima di imbarcarsi compie un'opera che sembra un rituale propiziatorio, quasi un anticipo della sua futura poetica basata sullo spezzare e riconnettere, sulla costruzione di grandi storie con materiali anche stridenti fra loro. «Feci a pezzi l'Ulisse - ci racconta - fascicolo per fascicolo. Via la copertina, via la rilegatura. Poi me lo avvolsi intorno alla vita, sotto la camicia. Abbottonai la giacca stretta stretta, e affrontai i doganieri inglesi». Passò, e insieme a lui il libro. Forse Burgess ha conquistato un primato bizzarro: per il sistema usato, non per la sostanza dell'operazione, perché gli «importatori clandestini» del romanzo furono in quegli anni una setta numerosa, fedele e affascinata. Allora l'Ulisse era la rivoluzione, la cultura del tempo rivoltata come un guanto, un messaggio dirompente e perentorio. Ora è un grande classico, anzi probabilmente il classico del Novecento. E compie, proprio in questi giorni, 70 anni. Il grande mito ha una data di nascita: 2 febbraio '22, quarantesimo compleanno di Joyce. Lo scrittore riceve nella sua casa di Parigi, da una trafelata Sylvia Beach, la prima copia dell'Ulisse. Pubblicata sotto la sigla della Shakespeare and Company, la libreria ormai centro della vita culturale non solo francese, era stata stampata a Digione da un tipografo molto paziente, che aveva accettato di fare e rifare continuamente le bozze. C'erano molti errori, naturalmente. Nessun editore anglosassone aveva accettato di rischiare l'impresa, nonostante si fosse prodigato Ezra Pound (o forse proprio per questo). Ma Joyce era già un notevole personaggio per una ristretta élite intellettuale: il 2 febbraio Sylvia Beach espose in vetrina due esemplari del libro, e la gente fece la coda fino a notte per vedere almeno la copertina. L'Ulisse era destinato a indurre in molti il sospetto o la quasi certezza che di lì in poi non si potevano più scrivere romanzi. Il vagabondaggio di Leopold Bloom per le strade di Dublino sulle orme dell'Odissea e di mille altre opere, i capitoli scritti in stili variamente differenti per fare il verso a undici autori diversi, la commistione di linguaggio alto e lingua volgare o scurrile, le frasi spezzate, il «monologo interiore» (secondo la formula fortunatissima inventata da Valéry Larbaud), le allusioni vertiginosamente criptiche, le violazioni della scansione temporale, le parodie blasfeme e le ossessioni sessuali costruivano qualcosa di inaudito e sconvolgente: un romanzo sterminato, arduo, ritenuto incomprensibile e in molti casi opera d'un pazzo. Joyce aveva sfidato le convenzioni letterarie, politiche e sociali del suo tempo, e il secolo gli rispose rabbiosamente. L'Ulisse fu il libro proibito per eccellenza. Il General Post Office americano ne vietò l'importazione, e salvo un tentativo «pirata» nessun editore s'azzardò a stamparlo negli Stati Uniti, dopo una condanna per oscenità emessa contro una rivista che ne aveva pubblicato alcuni capitoli, ancora prima del '22, mentre l'autore ci stava ancora lavorando. In Inghilterra alcuni passi letti come insulti alla regina sbarrarono la strada. Nella cattolicissima Irlanda, dove nel frattempo la rivoluzione di Pasqua aveva aperto la strada alla nascita dello Stato Libero, neanche a parlarne. Spettò agli Stati Uniti, dopo un processo concluso nel '33, l'onore di aprire le porte per primi. Presagendo la sentenza, Joyce aveva scritto all'amica e protettrice Hariette Weaver: «Suppongo che fra qualche anno seguirà l'Inghilterra, e fra mule anni l'Irlanda». Il Regno Unito arrivò all'appuntamento nel '36, anche se quattro anni prima il Lord Capo della Giustizia aveva dato il via libera alla pubblicazione: ma nel '34 i tipografi che stavano componendo le pagine si scandalizzarono per certi passaggi ed entrarono in sciopero. Per più di dieci anni il libro proibito varcò clandestinamente la Manica e l'Oceano: spesso senza copertina, a volte in pacchi regalo o fasciato in fogli di giornale, inviato dalla Shakespeare and Company e dall'Egoist Press, che continuava però a stampare sui flani di Digione. Fra il '22 e il '23 cinquecento copie vennero sequestrate e bruciate negli uffici postali statunitensi, 499 furono intercettate dalle English Customs Authorities e fatte sparire. Il monologo di Molly Bloom, la masturbazione del marito sulla spiaggia davanti a una giovane attraente e zoppa, la messa blasfema sulla torre martello di Sandycove o i bordelli di Dublino sembravano allora davvero «troppo». Durante il primo processo americano, i giudici prima di dar lettura delle pagine incriminate vollero che le signore uscissero dall'aula. Fra queste anche l'editrice della rivista, che era poi l'imputata. Alle proteste della difesa, il presidente rispose che certamente la signora «non capiva il significato di quello che pubblicava». [m. b.l Sequestri, processi, scioperi di tipografi impauriti Gli inglesi venivano a cercarlo a Parigi. Burgess lo trovò nel 35 in Germania: dovette farlo a pezzi e nasconderselo addosso per poter passare la Manica e . l . a e i e i o , a . n a a e n o. rdi o di a eJOYCE l'odissea nello scandalo A fianco, James Joyce: il suo capolavoro, ('«Ulisse», uscì il 2 febbraio 1922. Sopra, l'amico Jacques Mercanton, oggi ottantaduenne, in una foto degli Anni Settanta