Il Sud non può fare a meno dello Stato; il povero cuore di Bush

Il Sud non può fare a meno dello Stato; il povero cuore di Bush LETTERE AL GIORNALE Il Sud non può fare a meno dello Stato; il povero cuore di Bush Intervento pubblico purché trasparente Non intendo commentare, perché non l'ho potuto leggere, il saggio ancora inedito di Gianfranco Dioguardi, del quale soltanto alcune mezze frasi sono citate tra virgolette nell'articolo di Alberto Papuzzi che apre l'inserto «Società e Cultura» de La Stampa del 14 gennaio. Ma vorrei esprimere il mio dissenso dalla conclusione dell'articolo, del resto riassunta nel titolo: Per salvare il Sud niente più soldi. Il motivo è naturalmente che, come recita il sommario, «i miliardi dello Stato finiscono alla mafia». Nessuno può ovviamente negare che, non solo, ma soprattutto nel Mezzogiorno, assistenzialismo, clientelismo, corruzione, inquinamento mafioso delle istituzioni, traggono alimento dalla spesa pubblica. Vi sono motivi profondi perché ciò avvenga: nel Mezzogiorno son gravi e diffusi i bisogni che premono per ottenere risposte immediate e particolaristiche; è più forte che altrove la dipendenza delle imprese da aiuti, commesse e da appalti pubblici; è decisivo nella competizione elettorale il potere di dare quelle risposte, di fornire quegli aiuti, di assicurare quegli appalti. Ma dire che sull'intervento pubblico grava un'ipoteca di assistenzialismo, di clientelismo e di inquinamento malavitoso dovrebbe significare che occorre liberarsi da questa ipoteca, non che si possa fare a meno dell'intervento pubblico. Altrimenti tanto varrebbe dire che, poiché la giustizia è affetta da gravissimi mali cronici, occorre abolire i tribunali. In un contesto nazionale unitario una eccessiva difformità regionale dei livelli di sviluppo è politicamente insostenibile, ed è dunque inevitabile che si attivi un flusso di trasferimenti dalle regioni economicamente forti e in situazione di sostanziale piena occupazione verso le regioni economicamente deboli e ad ele¬ vata disoccupazione. Dalla istituzione della tariffa doganale del 1887 alla liberalizzazione degli scambi del 1952 non sono stati forse necessari settantacinque anni di protezionismo, sovvenzioni, commesse pubbliche di favore, salvataggi e autarchia per sostenere lo sviluppo industriale del Nord? L'intervento straordinario nel Mezzogiorno ha funzionato bene per oltre vent'anni, a partire dal 1950, quando fu istituito da De Gasperi sulla base di un'idea di Donato Menichella. Quell'intervento è finito da tempo e nessuno si sogna di riportarlo in vita, anche perché i problemi di oggi sono molto diversi da quelli di allora. Ma sta lì a dimostrare che neanche nel Mezzogiorno è impossibile un intervento pubblico sostanzialmente efficace e corretto, purché sia sottratto ai condizionamenti degli interessi particolari ed elettoralistici locali e le sue scelte tecniche siano ricondotte in sedi tecniche, autonome dai partiti e pienamente responsabili dei successi e dei fallimenti. Salvatore Cafiero, Roma direttore Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno Sulla questione si incrociano pareri contrapposti. Però è la prima volta che a dissentire dall'intervento straordinario è un autorevole imprenditore meridionale. Devo aggiungere che l'articolo scritto da Gianfranco Dioguardi per Economia italiana è molto ampio (28 pagine), per una metà dedicato a un uso diverso delle risorse per il Sud, per l'altra a un nuovo ruolo sociale dell'impresa e dell'imprenditore, la.p.] Contro la bestemmia poco aiuto dalla Chiesa Ho letto l'articolo di Renato Romanelli (La Stampa del 5 gennaio), che riferisce su quanto si sta dibattendo circa la gravità o la liceità della bestemmia in Italia. Pur essendo allo stato laicale, sono oltre trent'anni che mi occupo, praticamente a tempo pieno, di questo argomento, sul quale ho anche scritto diversi libri. Per quanto riguarda le cause del fenomeno, non ho più alcun dubbio nell'attribuirle alla ca¬ rente e distorta informazione religiosa dei responsabili umani della Chiesa di Roma. Questo per diversi motivi: 1) perché hanno sempre volutamente evitato di far conoscere al popolo la gravità estrema che Antico e Nuovo Testamento attribuiscono concordemente al peccato di bestemmia; 2) già trent'anni fa, con un gruppo di collaboratori, avevamo sperimentato e messo in pratica - ottenendo ottimi risultati un metodo per far recedere la diffusione del fenomeno blasfemo. Abbiamo proposto alla Chiesa di adottarlo e di diffonderlo, portando documentazioni e testimonianze attestanti la sua concreta efficacia (ottenuta senza alcuna coercizione), ma in particolare dopo la elezione dell'attuale pontefice, la Chiesa non l'ha in alcun modo preso in considerazione. E se prima c'era almeno consentito di operare, dopo questa elezione ci venne preclusa anche questa possibilità! 3) Malgrado le nostre insistenze - espresse a volte con particolare sofferenza da parte nostra questo pontefice non ha mai voluto nemmeno sfiorare l'argomento dall'alto della sua Loggia. Preferisce occuparsi diffusamente di politica, di alta finanza e di altre cose del genere, seguito in questo anche dalla stessa Cei. Visto l'atteggiamento di queste autorità religiose su questo argomento, come è possibile porre rimedio alla situazione? Il ricorrere alla coercizione della legge civile, da parte loro, è solo un puerile tentativo di mascherare le loro stesse personali responsabilità. Giuseppe Calligaro Tuoro (Perugia) Il Presidente ha avuto una sincope Mi riferisco all'articolo di fondo comparso su La Stampa del 9 gennaio. E' abbastanza improbabile che il malore che ha colpito il presidente Bush sia imputabile a gastro-enterite. Faccio il medico ospedaliero da 40 anni e non ricordo nulla di simile. La mia ipotesi è che il Presidente soffra della così detta «sindrome del seno» (il «seno» è una struttura cardiaca), alternando fasi di aritmie ipercinetiche a fasi ipocinetiche, che possono manifestarsi con una «sincope» come quella che abbiamo vista in diretta. Se così fosse un pace-maker potrà rimettere in sesto il Presidente. E' solo una ipotesi, ma più verosimile della versione ufficiale. prof. Gian Maria Ferraris Torino Autostrade: mancano segnali e colonnine E' di attualità, in questi giorni, la nostra intera rete autostradale, messa sotto accusa dopo i tragici grovigli di auto, verificatisi un po' ovunque. Alcune considerazioni vanno, al riguardo, evidenziate, circa le carenze strutturali attuali di quella che, comunque, resta una delle più estese reti di comunicazione d'Europa. E' in corso l'ambizioso programma di costruzione della terza corsia che si aggiunge alle attuali 2 per senso di marcia, che, però, viene attuato a totale scapito della «corsia di emergenza», completamente sostituita da piazzole di emergenza, attivate ogni 400 metri circa. Ciò significa che, in caso di eventi gravi, Croce Rossa, vigili del Fuoco e polizia vengono automaticamente escluse da ogni fattibile operatività logistica. La totale carenza di colonnine di telesoccorso è un'altra preoccupante realtà che ci porta a considerare, con spavento, come gli automobilisti siano, in pratica, in balia di se stessi, nell'attimo stesso dell'evento sfavorevole o grave che sia. Esempio lampante è la nuovissima arteria Voltri-Gravellona Toce priva di impianti di S.O.S. La segnaletica orizzontale è l'ultima accusata in quanto non attuata con vernici fosforescenti, che ben delimiterebbe sia le 3 corsie che il margine destro della carreggiata autostradale. In termini di sicurezza strutturale è auspicabile che qualcuno spieghi in modo esauriente perché esistono ancora o si creino «ex novo» le 3 carenze sopradenunciate. Tutto resta, comunque, vanificato se gli automobilisti dimenticano, sempre più spesso, che, a 80/100 chilometri di velocità, occorrono 40/50 metri di spazio frenabile: troppi per evitare i tragici grovigli di questi giorni di nebbia e gelo. Ettore Viviani, Alessandria

Luoghi citati: Alessandria, Europa, Gravellona Toce, Italia, Perugia, Roma, Torino