Il mio 18 aprile sull'Altipiano
Il mio 18 aprile sull'Altipiano Le armi contro i comunisti Il mio 18 aprile sull'Altipiano fi ORREVA la primavera del 1948, la fioritura delle eriche era stata precoce e, ricordo, il cuculo era arrivato in anticipo. Nella piazza del paese ogni sabato, giorno di mercato, e alla domenica mattina e pomeriggio, sul palchetto che era stato il podio del direttore della Banda Cittadina, si alternavano gli oratori dei partiti. Dal poggiolo del Caffè Commercio c'era a volte il contraddittore che ribatteva i punti programmatici esposti dall'avversario. Dopo tutto, una bella commedia molto seguita, anche divertente oltre che appassionata: nella piazza la gente stava divisa in gruppi e ogni tanto qualcuno gridava qualcosa. L'appuntato e un carabiniere, con i soggola abbassati sotto il mento e la carabina in spalla, osservavano discreti e discosti. Eravamo digiuni e affamati di democrazia e il fatto delle elezioni era causa di vivaci discussioni, che poi si accendevano di notte per l'uso degli spazi riservati ai partiti per i manifesti. Se ne parlava in famiglia, in osterìa, nelle botteghe, sul lavoro. Persino sui campi e in bosco. Diurnista di terza categorìa nell'Amministrazione periferica del ministero delle Finanze, con il pennino perry e l'inchiostro ferro-gallico, trascrivevo volture sui grandi registri catastali, ma persino in ufficio un collega più anziano e più avanti nella carriera, era Avventizio, faceva propaganda per i liberali. Proprio in quei giorni, avevo con decisione respinto la tessera della demo¬ crazia cristiana, già compilata a mio nome, che una beghina era venuta a portarmi in casa. In quel tempo mi interessavano sì le elezioni, ma ancora più ero preso dalla riscrittura dei ricordi della ritirata di Russia, dalla letteratura americana e dalla storia in genere. Era verso la metà di aprile che un giorno il Capufficio, un giovane funzionario già ufficiale carrista decorato in Africa Settentrionale, mi chiamò nella sua stanza e sottovoce mi raccontò come poco prima era stato da lui un prete che gli aveva proposto di accettare delle armi per difendere la libertà e la civiltà cristiana dalla minaccia comunista. Gli chiesi come era quel prete. Lo conoscevo molto bene fin da ragazzo, quando frequentavo l'oratorio. Durante la Resistenza, poi, era stato cappellano dei partigiani, quelli con il fazzoletto verde. «Ha accettato le armi?» gli chiesi. «No, non vedo da chi dobbiamo difenderci. Ma lei, che è del luogo, crede che i socialcomunisti del Fronte Popolare si mettano a sparare se perdono le elezioni?». Stetti un attimo a pensarci, ripassandomi i nomi e i volti dei compaesani considerati comunisti. No, non erano fanatici e nemmeno violenti. Mi venne un po' da sorridere per chi temeva un attacco armato da parte di costoro. «No», gli risposi, «non succederà niente, non spareranno». Mario Rigoni Stern Una riunione di partigiani. «MI venne da sorridere per chi temeva un attacco armato dei comunisti»
Persone citate: Mario Rigoni Stern
Luoghi citati: Africa Settentrionale, Russia
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