Nasce il «partito» dell'Armata Rossa

Nasce il «partito» dell'Armata Rossa I militari a Eltsin: a ogni costo salveremo l'ex esercito sovietico dallo smembramento Nasce il «partito» dell'Armata Rossa Cinquemila ufficiali chiedono garanzie al Cremlino MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Cinquemila ufficiali dell'ex Armata Rossa, esasperati, divisi e, ancor più, dall'inarrestabile dissoluzione del Paese cui giurarono fedeltà, hanno cercato ieri senza riuscirci - di trovare una via d'uscita dal vicolo cieco in cui i «politici» li hanno gettati. E, pur nella completa incertezza sul futuro delle forze armate ex sovietiche, hanno fatto il loro ingresso organizzato sulla scena politica della Csi. Comunque vadano le cose, l'organismo di coordinamento votato ieri dall'assemblea eserciterà un ruolo politico tutt'altro che secondario. Leit motiv di tutti i presenti è stato la richiesta di preservare l'unità delle forze armate, almeno per 2-3 anni. Un'ovazione ha accolto la proposta di «fare intervenire Gorbaciov, nostro comandante supremo». Per il resto babele d'idee, oscillante dalle aperte minacce di un'azione di forza contro Kiev e le altre repubbliche che vogliono dotarsi di un esercito proprio, a posizioni più moderate, che tentano di conciliare l'inconciliabile, cioè ammettono l'esistenza di eserciti nazionali ma vogliono preservare un comando strategico unificato. Il vertice della Csi, conclusosi nella notte, non era riuscita a dare alcuna risposta sostanziale alle rivendicazioni dei militari. Anzi la decisione più importante era stata quella di rinviare anco- ra una volta tutta la incandescente materia: al prossimo 14 febbraio. Il topolino partorito dalla montagna si riassumeva nella scelta della bandiera zarista di SAndrea (due diagonali azzurre in campo bianco) per la flotta della Csi, e un nuovo giuramento per le forze strategiche della Comunità (firmato però soltanto da 7 repubbliche, non da Ucraina, Azerbaigian, Moldova e Belarus). E il motivo è stato chiarito da Eltsin in un discorso applaudito senza troppo calore: non c'è accordo sul significato di «forze strategiche». E il fatto che solo Eltsin e Nazarbaev (due presidenti su undici) fossero presenti al palazzo dei Congressi del Cremlino - oltre a scatenare l'ira dei delegati era lì a mostrare l'estrema improbabilità di un accordo futuro. Shaposhnikov, Eltsin e Nazarbaev hanno fatto il possibile, infine riuscendoci, per calmare le acque. Eltsin ha promesso che «Russia e Kazakhstan si batteranno fino alla morte per forze armate unite». Ma possono garantire solo per sé, non per l'Ucraina di Kravchuk, che marcia per la linea dura della separazione. Eroi della giornata, dunque, sono apparsi il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill, che ha esortato le repubbliche a «dare prova di saggezza» e a moderare nel tempo le loro aspirazioni all'indipendenza totale, e l'ammiraglio Igor Kasatonov, comandante della flotta del Mar Nero. La requisitoria di Kasato- nov contro il presidente Kravchuk è stata accolta da ovazioni. «Nella storia dei paesi civili ha esclamato - non si è mai visto uno Stato che pretende di nazionalizzare uomini e famiglie insieme». Applausi fragorosi hanno accolto il suo invito a rifiutare il giuramento di fedeltà all'Ucraina e la secca conclusione: «La flotta del Mar Nero è indivisibile. A rigore dovrebbe essere consegnata alla Russia». Shaposhnikov ha dovuto usare nuovamente tutta la sua-autorità per controllare il dibattito. Fino a minacciare apertamente le punte estreme della contestazione, evidentemente serpeggianti in profondità più di quanto il dibattito stesso abbia mostrato. «Ricordatevi - ha esclamato - che quelli che quest'estate si sono opposti al presidente (Gorbaciov, ndr), ora sono ospitati alla Matroskaja Tishinà (la prigione di Mosca, ndr)». «Come comandante in capo ad interim, non permetterò mai l'uso delle forze amrate contro il popolo». E ha ribadito che l'ipotesi di un colpo di stato militare è non solo «inconsistente», ma «pericolosa nelle attuali condizioni sociali», insomma una «provocazione». Eltsin è venuto in soccorso, invitando alla «pace civile» e promettendo molto. Forse di più di quello che potrà dare e, certo, molto di più di quello che potrà ottenere dall'Ucraina. Ma ha lanciato, a sua volta, chiari avvertimenti ai partners della Csi. «Non è nostra intenzione creare un esercito russo - ha detto - non è la nostra scelta, ma se la maggioranza delle altre repubbliche 10 farà, allora dovremo farlo anche noi». Nel frattempo, per ridurre l'incertezza di decine di migliaia di ufficiali che prestano servizio al di fuori della Comunità, specie sul Baltico e in Georgia, ha decretato che la Russia li prenderà a suo carico. E ha promesso un programma edilizio speciale per l'esercito, appezzamenti di terra, un bilancio militare orientato a spese sociali per 11 60% e addirittura di usare i proventi in valuta delle armi all'estero per i bisogni dei militari. Eltsin conta evidentemente che la pressione dei militari costringa Kravchuk, Shushkevic, Mutalibov e Snegur - i quattro presidenti «irriducibili» - a rallentare la velocità di fuga. Ma lo stesso Shaposhnikov, che gioca il gioco di Eltsin, ha dovuto ammettere che «la situazione si è aggravata dopo la creazione della Comunità, nonostante gli sforzi titanici di diversi presidenti». Un nuovo insuccesso del vertice Csi potrebbe chiudere ogni via d'uscita anche a Eltsin. Il segno dell'esiguità dei margini è emerso quando un ufficiale ha posto ai voti le dimissioni di Shaposhnikov («non sta con noi, l'abbiamo visto tutti oggi!»). Il maresciallo ha gettato la sua cartella e si è alzato: «Se volete le mie dimissioni le dò subito». Solo dopo una tumultuosa serie di interventi a difesa, Shaposhnikov è tornato al presidium. Giulietta Chiesa ifii^l&J Alla tribuna del Congresso dei militari: Boris Eltsin (al centro), il presidente kazako N ursultan Nazarbaev (sinistra) e il maresciallo Shaposhnikov (destra) [foto apj