«Bellini, torniamo anche noi alla base»
«Bellini, torniamo anche noi alla base» Sacerdote rivela a «Studio aperto» i retroscena della missione aerea nel Golfo «Bellini, torniamo anche noi alla base» Ecco perché Cocciolone nonhU avuto la medaglia ROMA. Un attimo di indecisione, forse di paura, sarebbe costato la medaglia al valor militare a Maurizio Cocciolone, uno dei due piloti italiani catturati durante la guerra del Golfo. La rivelazione, che non è stata smentita dall'Aeronautica, è arrivata all'improvviso durante lo speciale di Studio aperto con cui «Italia Uno» ha ricordato giovedì sera il primo anniversario del conflitto. «La verità sulla storia della medaglia si nasconde nella scatola nera del Tornado», ha detto davanti alle telecamere don Giorgio, il parroco di Gian Marco Bellini, l'altro pilota fatto prigioniero degli iracheni. «Me lo ha raccontato il papà di Gian Marco - ha spiegato il sacerdote -. Poco prima di essere abbattuto, Cocciolone avrebbe detto: "Tutti gli altri sono tornati, noi che facciamo?". Ma Bellini non ha avuto dubbi: "Abbiamo il dovere di andare sul posto anche da soli. Dobbiamo continuare"». Sarebbe stato questo, dunque, il motivo della disparità di trattamento tra i due piloti italiani caduti nelle mani degli iracheni esattamente un anno fa, il 18 gennaio 1991. Non, come si era pensato, il comportamento tenuto da Cocciolone durante la prigionia (le interviste estorte dalla televisione irachena e trasmesse in tutto il mondo dalla Cnn). Né tantomeno le polemiche sorte dopo il matrimonio del capitano, che aveva venduto a un settimanale l'esclusiva delle foto di nozze. «Prima del conferimento della medaglia - ha confermato don Giorgio -, i familiari di Bellini erano stati convocati a Roma senza che se ne capisse il motivo. Poi mi hanno detto che si trattava di un nastro che aveva registrato le voci dei piloti». Le dichiarazioni del sacerdote sono arrivate poco dopo la mezzanotte. Un orario infelice per uno scoop, specie in questi giorni di «guerra» tra i tg. «E' che proprio non me lo aspettavo», sorride Emilio Fede, che ieri ha riproposto l'intervista con don Giorgio nell'edizione serale di Studio aperto. «Raccontando la guerra non era possibile dimenticare l'episodio del Tornado, anche perché c'erano state polemiche tra noi e la Rai, quando annunciai per primo che i due erano vivi. Così ho pensato di invitare don Giorgio, un personaggio simpatico. Ci eravamo sentiti il giorno della festa per il rientro di Bellini, aveva fatto sentire in diretta le campane del paese che salutavano il ritorno di Gian Marco. La domanda sulle medaglie è venuta quasi per caso: abbiamo fatto un sondaggio sull'argomento, e volevo sentire il suo parere...» Ma secondo lei, Cocciolone ha avuto davvero paura? «No. Io parlerei piuttosto di un momento di riflessione. Una reazione comprensibile nella situazione difficile dei primi giorni della guerra, quando la forza militare irachena era al culmine. E poi il tempo era terribile: forse è stato l'istinto di sopravvivenza», [g. tib.l Il maggiore Gian Marco Bellini (a sinistra) e il capitano Maurizio Cocciolone
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