Nuovo Doge per Venezia di Bruno QuarantaAlvise Zorzi
Nuovo Doge per Venezia Zorzi parla all'Aci Nuovo Doge per Venezia OTORINO OVE' scomparso l'infilascarpe di Montale? Il poeta lo smarrì al Danieli le non osò reclamarlo. «Hedia la cameriera - volle convincersi - lo buttò certo nel Canalazzo. C'era un prestigio (il nostro) da salvare e Hedia, la fedele, l'aveva fatto». Non sarebbe il caso di stupirsi se Alvise Zorzi conoscesse il pertugio in cui sta «il pezzaccio di latta» caro a Montale. Della veneziana spina dorsale, questo signore di antico blasone patrizio è il cronista, la sentinella, lo storico, il rabdomante (Rizzoli ha appena varato il suo Canal Grande). E da oggi pure l'ambasciatore. Comincia al teatro Alfieri (ore 18, per l'Aci), un viaggio che toccherà domani Firenze, lunedì Milano, martedì Roma, mercoledì Bari. «Il Canal Grande racconta Venezia»: ecco il filo millenario custodito da Alvise Zorzi, guida di un'«arteria» definita nel Quattrocento «la più bella strada del mondo». S'increspa, il testimone lagunare, ma non deponendo la cordialità: «Dire strada è poco. Il Canale fu anche porto, fiume, cuore della vita quotidiana. Uno scenario dove recitavano il potere, il denaro (nella sfera di San Marco), dove il lavoro "minore" dei cordai e dei cavafanghi s'intrecciava con la genialità dei tessitori, dove si manifestava prepotente - l'aristocrazia, fortunata o meno. Ma, soprattutto, il Canale ostentava la cifra mercantile: era il fondaco per eccellenza». Fu, era: e adesso? Di sicuro la profezia di Piovene è naufragata: il Canale non si è trasformato «in una fila di belle quinte innalzate sul nulla». «No davvero interviene Zorzi -: il traffico è il Alvise Zorzi "signore" di questa nostra età veneziana. Come sempre, peraltro. Mutano i veicoli, ma non le angustie. Già nel Cinquecento risuonavano grida d'allarme che sortirono una trovata destinata a perpetuarsi: i parcheggi a tempo». Salvare Venezia, il rebus di ieri e di oggi: che fare? «Le ricette non mancano. Anche i fondi ci sono, difetta però la capacità di spenderli - osserva Zorzi -. Bisognerebbe creare un'Authority, un'alta autorità, per sottrarre i vari progetti alle trappole burocratiche: viceversa non decolleranno mai. L'idea è condivisa da molti, peccato che resti tale». Nostalgia del Doge? «No, se per doge s'intende (superficialmente, ignorando la storia) una figura che concentri in sé tutto il potere. Piuttosto mi auguro un doge collettivo, un crogiuolo di buone volontà politi- che». Dogi, gondolieri, cortigiane, avventurieri, letterati, artisti: Alvise Zorzi identifica ad uno ad uno i volti del Canal Grande, indugiando sui «foresti, che tanta parte hanno avuto nel creare il mito di Venezia». Chi meglio di altri si è calato nell'anima indigena? «Proust, D'Annunzio, Stendhal». Chi non ha «capito»? «Mann, ad esempio: ha interpretato Venezia sulla scia del suo rovello. Una bellezza che si dissolve, si degrada: così l'ha colta. Ma questa è una sottospecie del mito, figliata da Byron». Zorzi è solare, la sua speranza viene da lontano, è incisa in un'antica moneta locale: «Sanctus Marcus Venetus». Non ha dubbi: «San Marco è veneziano, l'Evangelista è uno di noi. Non ci abbandonerà». Bruno Quaranta Alvise Zorzi
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