LO SPORT NON UCCIDE

LO SPORT NON UCCIDE LO SPORT NON UCCIDE Lj INTERVENTO su queste colonne di Ferdinando Camon, a proposito della morte in campo di un ragazzo dell'hockey, è stato preciso ancorché sentimentale, accorato ancorché lucido. Il problema sta proprio nella validità dell'articolo: che non poteva essere più persuasivo e più utile per chi o vuole il male dello sport o, comunque, vuole usare lo sport per le sue tesi, i suoi alibi. In altre parole, preoccupa dell'articolo il facile effetto parafulmine. Si scaricano cioè sullo sport, anche incosciamente, perplessità, irritazioni, tristezze. La dose di sdegno che ognuno di noi mediamente ha a disposizione è quella che è: una volta scaricatala, per ricrearla ci vuole molto tempo. Sdegnarsi con lo sport può significare, presso organismi non particolarmente impegnati, non riuscire più a sdegnarsi per cose più gravi. Io sono rimasto inorridito per la meccanica del gesto e le sue conseguenze. Ma poi è cominciato il ragionamento: quante mazzate così vengono date, da sempre e senza conseguenze, in un incontro di hockey? Quale e quanto grande è la percentuale di fatalità nella tragedia di Courmayeur? E ancora: come può morire, se non per caso, uno per un colpo di mazza così, e come possono non morire mai quelli che allo stadio di calcio prendono terribili sprangate in testa? Ecco, mi allaccio alle vicende calcistiche. Qui la funzione dello sport come parafulmine è addirittura splendida. Quanto è stato scritto sulla violenza negli stadi, e quanti sono i morti in Italia negli stessi stadi? Misurando ad articoli, sdegni devono essere moltissimi. E invece il morto è uno, uno solo, il Paparelli romano dell'ottobre di dodici e passa anni fa, all'Olimpico per un razzo vagante. Uno e uno solo: tremenda cifra, sia chiaro, ma in assoluto, non relativamente agli allarmi. E fuori stadio? Sono in tutto due morti e mezzo, uno a Ascoli, uno e mezzo a Milano (c'è stato un caso di decesso per paura di botte, ma si è trattato di infarto: comunque qualcosa va attribuito alla violenza, ci mancherebbe altro). Si deve pensare ad una forte e fortunata (ma non solo) componente western, le botte date non per uccidere. Come nell'hockey, che è rissa da saloon codificata sul terreno di gioco. Voglio dire che lo sport vive una sua sanità statistica favolosa. E lo dicono anche le cifre relative ai morti, anzi ai non morti, dell'hockey. [g. p. o.l

Persone citate: Ferdinando Camon, Paparelli

Luoghi citati: Courmayeur, Italia, Milano