«Avrò sempre il marchio dell'assassino»

«Avrò sempre il marchio dell'assassino» La disperazione di Jimmy Boni, indagato per omicidio dopo la mazzata al match di hockey «Avrò sempre il marchio dell'assassino» «Ho reagito d'istinto alfallo, non è stato un colpo cattivo» Lo scorso anno rischiò la cecità per la botta di un avversario COURMAYEUR DAL NOSTRO INVIATO «La mia vita ormai è segnata:, per la gente sarò sempre Jimmy Boni, quello che ha ucciso un compagno giocando a hockey»: 1'«assassino» ha la faccia gonfia di chi non dorme da due notti e le mani che tremano stringendo la sigaretta. Insaccato in una tuta stropicciata, cammina come un robot nel suo appartamento disordinato da girovago dello sport. E si passa una mano tra i capelli e si strizza gli occhi in fiamme e piange: «Quella sera mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato». Il posto sbagliato era il patinoire di Tolonne, il momento sbagliato erano le 21,30 quando lui ha colpito al petto con la mazza il suo «marcatore», che gli aveva sferrato un pugno: il giocatore, Miran Schrott, 19 anni, si è afflosciato sulla pista come un burattino cui abbiano tagliato i fili. E' morto un'ora e mezzo dopo all'ospedale di Chamonix. Adesso in questo miniappartamento nel residence «Le Vilage» di Echallod, 20 km a valle di Courmayeur, pieno di fumo e con il letto intatto, Jimmy Boni ripercorre il film della sua disperazione: «Ho reagito d'istinto ad un fallo, ma non è stato un colpo cattivo. Di colpi così, in un campionato, se ne danno e se ne ricevono almeno 500. Sono una sorta di rituale, un modo per far capire all'avversario più giovane che deve rispetto ad un veterano che è stato anche in nazionale». Tace per qualche secondo, Jimmy: dietro i suoi occhi sbarrati sta mettendo a fuoco, probabilmente, l'attimo in cui Schrott, appena raggiunto al petto dalla mazza, ha portato le mani alla testa ed è rotolato sul ghiaccio: «Falli normali, reazioni normali. Ma quel ragazzo è morto. Ho pensato mille volte, in queste ore, che, se invece di avere il braccio alzato, lui l'avesse avuto disteso lungo il fianco, l'avrei colpito al gomito e non sarebbe successo niente. Ma serve a qualcosa dire queste cose? No, è inutile: lui è morto. Capisce? E' morto». Un'altra sigaretta, un altro momento di disperato silenzio. Deve raschiarsi la gola quando riprende a parlare perché le lacrime gliel'hanno stretta in un groppo: «Sono un giocatore professionista da quando avevo 17 anni e faccio hockey da quando ne avevo 6. Andare in campo per me è la vita. Non esagero. La vita». L'anno scorso, quando ancora militava nel Bolzano, la mazza di un avversario lo raggiunse all'occhio e Jimmy Boni rischiò di restare cieco: «Allora ho pensato di lasciar perdere tutto, mia moglie ha un negozio d'abbigliamento, potevamo vivere anche senza i due milioni al mese dell'ingaggio. Ma è stato più forte di me, sono ritornato in campo». Non dice, Jimmy, che la squadra del Bolzano l'ha ceduto al Courmayeur per sostituirlo con un attaccante più grintoso. Si li- mita ad ammettere: «L"'assassino", che in questo momento sta davanti a lei, ha avuto solo due minuti di penalità per falli in questo campionato. No, non sono un duro. Diciamo che ho doti più tecniche che di aggressività». Il volto di Miran Schrott gli ripiomba, improvviso, nei pensieri, perché Boni diventa buio: «Parole inutili. D'ora in poi ricordando me, ci sarà sempre qualcuno che parlerà di un "omicidio"». Conosceva Miran? «Non di persona, l'avevo visto qualche volta in tv nella nazionale juniores. Era bravo, giovane ma bravo. Uno che "aveva i coglioni", come si dice tra noi veterani». Lascia vagare lo sguardo in questo appartamento pieno di jeans e maglioni e camicie gettati sulle spalliere delle sedie o ammucchiati sullo stendibiancheria che occupa metà soggiorno: «Soffro come un cane» dice sfregando un'immaginaria macchia del divano. E' quasi un monologo, il suo: un ricordare con pena e con rabbia per esorcizzare un fantasma che non l'abbandona e ha il volto di un atleta di 19 anni: «Alla fine del secondo tempo ho domandato all'allenatore avversario se sapesse come stava Miran. Lui mi ha risposto: "Si è ripreso in ambulanza". Mi sono sentito sollevato. A gara conclusa, volevo andare all'ospedale di Chamonix, ma un giocatore del Gardena mi ha detto: "Lascia stare, è meglio di no". Poi è arrivato il presidente della società, piangeva come un bambino: allora ho capito che Schrott era morto». Boni strappa boccate nervose all'ennesima Marlboro, guarda le foto dei suoi due bambini, di 4 e 2 anni che sorridono dal portaritratti: «Morto, dopo quel contrasto senza cattiveria. E ho pensato agli spettatori che, mentre lui era immobile sul ghiaccio, gridavano: "Cine, cine" perché credevano che stesse fìngendo». L'altro pomeriggio Jimmy ha incontrato il padre di Miran, Giuseppe Maria, che vent'anni fa giocava ad hockey nell'Ortisei e che con quella casacca fu anche campione italiano: «Quel poveruomo mi ha spiegato che aveva visto il filmato in tv, ha addirittura cercato di consolarmi: "So che non hai colpe"». Ora Boni ha la voce dura: «Se si accerterà che io non ho responsabilità, allora dovranno saltar fuori le responsabilità di altri: magari quelle di chi ha deciso che un ragazzo, forse malato, era in grado di scendere in campo». Vuol sostenere che Schrott soffriva davvero di epilessia come ipotizza qualcuno? «Non fatemi parlare di cose di cui non ho conoscenza diretta». C'è una cosa che vorrebbe dire a Miran in questo momento? «Gli direi: mi fa male pensare che non potrai mai più provare la gioia di metterti i pattini e di scendere in pista e gli direi che, anch'io, forse, non giocherò mai più perché, un po', sono morto con lui». Renato Rizzo Rivive la scena «Se avesse avuto il braccio disteso si sarebbe salvato» Il padre di Miran lo ha consolato dicendogli: «Lo so che non hai colpe» : ■ : :. ::::■. : i : : ■ : : : : : : : : . : : : Jimmy Boni, il giocatore di hockey su ghiaccio che ha ricevuto avviso di garanzia per omicidio colposo dopo la mazzata all'avversario (nella foto piccola lo scontro)

Luoghi citati: Courmayeur, Ortisei