A Mosca il giorno dei colonnelli

A Mosca il giorno dei colonnelli A Mosca il giorno dei colonnelli EEltsin accusa: la fame è colpa dei sabotatori MOSCA DAL NOSTRO INVIATO E' cominciata in gran segreto la terza riunione dei capi di Stato della Comunità di Stati Indipenderti, in una villa all'estrema periferia della zona SudOvest di Mosca, Tioplistan, dietro le alte mura di recinzione del centro archivi del defunto Kgb. E i presidenti erano 7 invece che undici. Mancavano l'ucraino Kravchuk, il kirghiso Akaev, l'uzbeko Karimov e il moldavo Snegur. Due sono arrivati in ritardo, dopo il primo intervallo dei lavori: Kravchuk e Akaev, gli altri due non si sono fatti vedere (Snegur malato, Karimov per l'inondazione in Karakalpakia). Eppure le questioni erano grosse: 11 punti all'ordine del giorno, 8 dei quali riguardanti questioni militari. Il kazako Nazarbaev ha chiesto al presidente di turno, Eltsin, di inserirne anche un altro: perché alcuni Stati non rispettano gli accordi di Alma Ata? Alle 18 i sette presenti erano riusciti a mettersi d'accordo solo su due questioni: non contingentare e non impedire il pas¬ saggio delle merci alle frontiere della Comunità. Ma solo di quelle non alimentari. Per il resto ciascuno si sta difendendo come può - esclama Nazarbaev irritato - «innalzando barriere, ostacoli, licenze di ogni tipo». Non è dato sapere se i due sopraggiunti hanno accettato il primo miniaccordo. E la riunione è proseguita in nottata, ancora a porte chiusissime, sui temi della riforma delle forze armate e sul loro status, sui giuramenti militari, sulla difesa sociale, la cittadinanza e le condizioni politiche dei militari nelle repubbliche della Comunità, sul finanziamento, sulle modalità di attuazione degli accordi internazionali di riduzione delle forze strategiche ecc. Salvo i dettagli secondari, sulla questione centrale delle forze «congiunte» non c'è accordo e nessuno si aspetta miracoli. Non stupisce dunque il clima piuttosto freddo. Niente sorrisi e solo frettolose strette di mano di fronte ai fotografi durante la pausa. A qualche chilometro di distanza il maresciallo Shaposhnikov, comandante supremo delle forze con- giunte della Csi, incontrava, a porte chiuse, i comandanti dei distretti militari giunti a Mosca per l'assemblea che stamane riunirà al Cremlino oltre 5000 ufficiali delle tre armi dell'ex Urss. Ma ieri Mosca pullulava di riunioni militari e di dichiarazioni allarmate e allarmanti. Il comando dell'aviazione, sot¬ to la presidenza del generalecolonnello Piotr Deinekin votava un appello a «impedire la distruzione delle forze armate». Il generale Vassili Sawin, delle truppe del ministero degl'Interni, dichiarava alla Tass la perentoria richiesta di «non abbandonare senza aiuto coloro che hanno servito la patria». Al ministero della marina 400 alti ufficiali si sono preparati all'assemblea di oggi ascoltando un rapporto dell'ammiraglio Cernavin, che non fa mistero della sua netta avversione alla divisione della flotta del Mar Nero. L'«Unione ufficiali», una nuova organizzazione dai chiari connotati conservatori, è stata più esplicita: «La nostra pazienza è giunta al limite». Sul versante opposto i «Militari per la democrazia» hanno lanciato un appello ai delegati dell'assemblea di Mosca a «rimanere estranei alle manovre politiche e ad essere fedeli ai poteri democraticamente eletti», Ma i pronunciamenti si moltiplicano e, inevitabilmente, diventano sempre più «politici». Da una parte e dall'altra. Mentre i capi di Stato della Csi erano riuniti a Tioplistan, il capo di stato maggiore del nuovo esercito ucraino, maggior-generale Gheorghij Zhivitsa, rimetteva in discussione anche il modesto compromesso sulla divisione della flotta del Mar Nero. «Tutti i soldati che servono sul territorio ucraino - ha detto alla Reuter - sono sotto il co¬ mando del presidente ucraino». Punto, ma non basta. Secondo Zhivitsa l'Ucraina «ha già smantellato i canali di comunicazione militare con Mosca». Il che significa - se vero - che il maresciallo Shaposhnikov non ha più il controllo sui soldati ex sovietici di stanza in quella repubblica. In mattinata Eltsin aveva affrontato il Parlamento russo all'apertura del dibattito sull'andamento della riforma economica. Ribadendo la sua fiducia nel governo, nella validità della liberalizzazione dei prezzi e delle scelte finora compiute, ma ammettendo che «la privatizzazione procede con grandi difficoltà» e che il programma «richiede correzioni». Un vero e proprio scontro non c'è stato, anche se la contrapposizione tra il presidente del Parlamento, Khasbulatov e il governo di Eltsin, Burbulis, Gaidar è apparsa evidente e molte critiche sono venute dalla platea dei parlamentari. Ma Eltsin - che, pure, ha seccamente definito «sacrileghi» i tentativi di «sfruttare le difficoltà dei primi passi della riforma per meschi- ni scopi politici» - ha evitato bilanci troppo ottimistici e ha cercato di smussare i contrasti andando incontro ad alcune richieste dell'opposizione: bisogna colpire - ha detto - il monopolio commerciale, inasprire la politica creditizia, accelerare la riforma agraria e la privatizzazione. Ma ha ripetuto a più riprese la denuncia dei «sabotatori» intenzionali, degli speculatori, delle mafie. Non si tratta solo di difficoltà oggettive - ha insistito -, ci sono forze che consapevolmente mettono i bastoni tra le ruote. Gaidar e Shumeiko, i due uomini di punta della riforma, nel governo e nel Parlamento, l'hanno difeso, seppure con diverso calore. La prova del Soviet supremo Eltsin l'ha superata, ma fuori della Casa Bianca la tensione sociale cresce. E non è detto affatto che, senza riserve alimentari, quelle della pazienza reggano fino al prossimo autunno quando - secondo le sue speranze - dovrebbero apparire i primi segni di stabilizzazione. Giuliette Chiesa Il leader russo Eltsin visita un negozio di San Pietroburgo (fotoapj