Metti la Sirenetta al Luna Park

Metti la Sirenetta al Luna Park In scena all'Erba la compagnia «Marcido Marcjdoris e famosa mimosa» Metti la Sirenetta al Luna Park Spettacolo-pretesto per una storia del teatro TORINO. Gratificata da un premio Ubu e dall'irriducibile affetto di una compatta schiera di fans, la «Marcido Marcjdoris e famosa mimosa» è una compagnia che, con granitica coerenza, insegue una forma teatrale aspra, costrittiva, spesso crudele. Nata con Genet e cresciuta con Eschilo, la sua ricerca è approdata alla «Sirenetta» di Andersen con uno spettacolo intitolato «Palcoscenico e inno» che, dopo l'esordio al Garybaldi di Settimo, nello scorso marzo, viene ora riproposto all'Erba. Cambio di rotta?, ci chiedevamo durante quel primo debutto. Un tributo alla facilità, alla cantabilità, al racconto per il racconto? Tuttavia fu subito chiaro che le cose non stavano così. Bastava l'impianto scenico di Daniela Dal Cin a dirci che avremmo assistito a qualcosa di insospettabile. Si vedeva uno schermo televisivo costituito da migliaia di bottoni colorati dal quale promanava una sorta di marsupio cui s'affacciava e si protendeva, a mo' di polena, il busto della Narratrice. A lei spettava il compito di evocare la malinconica storia della sirenetta che, per amore d'un principe, sceglie la natura umana e un inevitabile destino di morte. Non era che l'inizio di una lunga sorpresa. La favola di Andersen era infatti una sorta di canovaccio mediante il quale Marco Isidori e i suoi fervidi compagni esploravano tutte le forme dell'espressione teatrale: il variété, la clownerie, la parodia, lo sfottò espressionistico, il marionettismo, che aveva la propria apoteosi nel personaggio dell'Uomo-palla interpretato dallo stesso Isidori. A ciò si aggiunga l'innalzamento tragico del tono e la degradazione corriva, il teatro fieristico e la citazione dello scenario urbano con le figure al neon di una ipotetica Las Vegas. Ogni azione era improntata all'idea molto isidoriana dell'agone fisico, della costrizione corporale (tutti sono in qualche modo impediti nei movimenti, legati, impastoiati). Il risultato era divertente, interessante, originale. Ma, all'epoca, avevamo eccepito sull'aspetto verbale dello spettacolo. Quei toni goleschi, tesi, costantemente sopra il rigo, quelle vibrazioni monotamente epiche, erano sembrati in discordanza con la «leggerezza» del gioco scenico. Nel frattempo non abbiamo cambiato opinione. Questo tipo di discordanze ci sembrano ancora pretestuose e vecchio stile. Rimandano irresistibilmente a un momento preciso della storia teatrale dei Magazzini, quando Marion D'Amburgo esprimeva i furori di una sacerdotessa invasata. Ma se anche i Magazzini hanno cambiato registro, una ragione ci dev'essere. [o. g.)

Persone citate: Andersen, Daniela Dal Cin, Genet, Isidori, Marco Isidori, Marion D'amburgo, Park Spettacolo-pretesto

Luoghi citati: Las Vegas