Fischi qua applausi là per il Barbiere di calamità

Fischi qua applausi là per il Barbiere di calamità Il contrastato Rossini di Carlo Verdone e un incidente hanno aperto la stagione dell'Opera di Roma Fischi qua applausi là per il Barbiere di calamità Messa in scena troppo movimentata Non è piaciuta la direzione di Bellugi ROMA. «Barbiere di Siviglia» firmato Verdone, contrastato (e funestato da un incidente di cui si parla a parte) per l'apertura della stagione lirica dell'Opera di Roma martedì sera. Un «Barbiere», prima tappa delle celebrazioni per il Bicentenario della nascita di Rossini, accolto da calorosi applausi ma anche da fischi sonori. Uno spettacolo discutibile e squilibrato nel quale forse, per il clima non disteso in cui si è svolta la fase preparatoria, le varie componenti non si sono perfettamente amalgamate. E' noto che il direttore Piero Bellugi è arrivato a prove iniziate, dopo il forfait di Paolo Carignani e Steven Mercurio, mentre la protagonista Sonia Ganassi ha sostituito la prevista Anna Caterina Antonacci addirittura pochi giorni prima del debutto. Ma l'emergenza non basta a spiegare del tutto le contraddizioni dell'edizione romana che si è incanalata su due criteri di lettura differenti, registica e musicale. C'era molta attesa per il debutto di Carlo Verdone nelle vesti di regista d'opera. Nell'affrontare la lettura del capolavoro comico rossiniano, Verdone ha tenuto ben presente la sua esperienza di attore e regista cinematografico. Ha voluto per le scene Dante Ferretti (sei Nastri d'Argento, cinque David di Donatello e due nomination agli Oscar) che ha inventato una Siviglia solare ma anche equivoca, realistica e non astratta. Erano belle le due scene del primo atto, l'esterno fra arcate barocche e vicoli bui, l'interno ampio e luminoso, funzionale. Più discutibile il secondo atto, un interno-esterno poco credibile, nel voler esporre il clavicembalo nel cortile del palazzo di Bartolo. Verdone, da parte sua, ha puntato sul ritmo, sulla vicacità delle scene corali e dei concertati e sulla caratterizzazione attraverso precisi tic dei vari personaggi. Pur rispettando la partitura, il regista ha movimentato ogni scena con invenzioni anche divertenti: l'entrata di Figaro su un calesse tirato da un bizzoso cavallo bianco, l'aggressione ad un soldato per spogliarlo della divisa che servirà al conte D'Almaviva e, nel secondo atto, la lunga scena della lezione di canto e della rasatura vivacizzata con garbo e humour. Qualche perplessità, invece, nella rilettura dei caratteri. Figaro è un malandrino dai toni troppo gigioneschi e soprattutto la sua invadenza risulta antipatica. Verdone ha avuto forse il torto, tradito dalla sua vena cinematografica, di esasperare i difetti dei singoli, creando macchiette un po' rigide in cui si è persa la tipica ironia dello stile rossiniano. Così ad esempio Don Basilio è parso irriconoscibile: non più il vecchio, furbo, un po' melenso e viscido maestro di musica, ma un perfido, losco figuro, dai tratti cupi e dalla mano lesta ad afferrare qualunque oggetto di valore. In alcuni episodi, infine, la regia ha creato qualche difficoltà sul piano musicale. E' il caso, ad esempio, del terribile concertato finale del primo atto che in genere gli artisti cantano immobili per evitare pericolosi incidenti. A metà del brano Verdone ha creato un movimento scenico che ha provocato una sfasatura ritmica. La vitalità dell'interpretazione di Verdone non ha trovato purtroppo riscontro nel versante musicale e non a caso Piero Bellugi è stato l'oggetto delle contestazioni più vivaci. La sua lettura, sin dalla sinfonia, è parsa eccessivamente trattenuta, priva di fluidità e di gioia di vivere. Diminuendi improvvisi in finale di arie, rallentanti eccessivi (si pensi al concertato «freddo e immobile») hanno svuotato la partitura della necessaria brillantezza rendendola a tratti quasi noiosa. Del cast è piaciuta soprattutto l'artista gettata nella mischia all'ultimo momento. Sonia Ganassi, 24 anni di Reggio Emilia, vincitrice nell'89 del concorso di Spoleto, ha iniziato con qualche giustificata titubanza «Una voce poco fa» ma si è ripresa prontamente. La voce è bella, non particolarmente potente (il che le ha creato qualche problema soprattutto nei concertati troppo spesso urlati da altri colleghi) ma duttile e sostenuta da un buon bagaglio tecnico. Ha deluso Ramon Vargas nel ruolo del conte che sarà nelle repliche dello specialista Rockwell Blake: voce morbida, anche elegante, ma evidenti i limiti di tenuta, soprattutto nel registro più acuto. Vargas ha tra l'altro temerariamente affrontato la difficile aria «Cessa di più resistere» in genere tagliata, giungendo alla fine provato. Nel ruolo di Figaro Bruno Pola ha avuto accenti un po' robusti, uno stile enfatico che il pubblico ha disapprovato sonoramente subito dopo la celebre sortita «Largo al factotum» affrontata con qualche volgarità di troppo. Simone Alaimo, irreprensibile nella «calunnia» (voce tonante e buona dizione) è stato, per le citate scelte registiche, un Basilio duro e inconsueto che la platea non ha gradito. Alfonso Antoniozzi, infine, ha reso con intelligenza e brio la figura di Don Bartolo. Roberto lovino Dante Ferretti ha realizzato una affascinante Spagna solare Troppo enfatico il canto di Bruno Pola come Figaro Sonia Ganassi-Rosina, Bruno PolaFigaro, Alfonso Antoniozzi-il tutore, Simone Alaimo-Don Basilio

Luoghi citati: Reggio Emilia, Roma, Siviglia, Spagna, Spoleto