Il Duce nel sacco di Arnoldo di Mario Baudino

Il Duce nel sacco di Arnoldo Mondadori e il fascismo in un libro sulla storia della casa editrice Il Duce nel sacco di Arnoldo Cera già un Berlusconi, a Milano, nel '25 E divenne presidente della casa editrice SELLA Mondadori c'è già stato un Berlusconi, più di cinquantanni fa, quando le sorti della casa editrice erano rette con astuzia e passione da Arnoldo, il fondatore. Era Senatore Borletti, poi divenuto conte di Arosio, un industriale con interessi e partecipazioni in vari settori dell'economia italiana, dal tessile alle banche, dall'elettricità al commercio. Fu tra i grandi sostenitori dell'impresa fiumana, e Gabriele d'Annunzio coniò per lui, ribattezzando i «Magazzini Bocconi», il nome della «Rinascente». Personaggio in grado di impiegare rapidamente enormi risorse finanziarie, divenne presidente della Mondadori nel '25. La storia si è ripetuta, sembrano suggerire Franco Bechis e Sergio Rizzo, nel loro In nome della rosa (Newton Compton), un saggio dedicato alle vicende della casa editrice dalla fondazione alla «guerra di Segrate», che sta andando in questi giorni in libreria. Le scoperte più interessanti riguardano la personalità molto complessa e affascinante di Arnoldo, e ci forniscono incidentalmente esilaranti rapporti di polizia sulle voci che turbinavano a Milano intorno a Senatore Borletti: aggiotaggi in Borsa, irregolarità finanziarie, orge dove sparivano collane e i camerieri si intrattenevano in libertà con le ospiti, una signora del bel mondo, Mary Fuchs, per amante. Secondo i questurini era costei una specie di Mata Hari: le vengono attribuiti rapporti con «la casa commerciale sovietica», il fatto che parli molte lingue è visto come un indizio di colpevolezza. Infine, un infiltrato divenuto amico della Fuchs manda un rapporto che collega Borletti addirittura a Gramsci, tramite Giorgio, fratello del leader comunista. Su Arnoldo Mondadori, invece, solo «note» positive. L'editore riesce a rimaner fuori da questo clima avvelenato, anche se a Borletti, scrivono Bechis e Rizzo, «deve tutto». L'imprenditore «gli ha presentato D'Annunzio, gli ha spalancato le porte del salotto buono, 10 ha iniziato ai segreti del Savini, il caffè della Milano bene dove si decidono gli affari». E soprattutto gli ha dato soldi. «Quanti, esattamente non si sa, ma l'avventura in Mondadori non sarebbe costata a Borletti meno di 20 milioni; cifra che, fatte le debite proporzioni, corrisponde a oltre 100 miliardi d'oggi». La Mondadori, aggiungiamo, non aveva allora dimensioni paragonabili all'odierno colosso di Segrete. Borletti e Arnoldo Mondadori si lanciarono in un'impresa giornalistica da cui rischiarono di uscire con le ossa rotte: l'acquisto e il rilancio - per conto del fascismo - del quotidiano II Secolo. La casa editrice dovette affrontare un disastro finanziario, da cui si salvò grazie alla cessione delle riviste. Ma di qui in poi, con le spalle coperte da Borletti e un'abile, lunghissima partita a scacchi con il regime, le fortune dell'editore sarebbero state sempre in ascesa. Appena rimessosi dalla crisi del Secolo, Arnoldo Mondadori, a 35 anni, vuole la nomina a cavaliere del lavoro. Bechis e Rizzo documentano bene, con materiali inediti, la trama sottile e spregiudicata intessuta per raggiungere la scopo. Viene mobilitato il vecchio amico Alessandro Chiavolini, segretario particolare di Mussolini, che scrive a Italo Balbo, futuro autore dell'editrice. Il triumviro fa parte della commissione che dovrà assegnare le onorificenze: Chiavolini gli ricorda le benemerenze di Mondadori per aver finanziato II Secolo, ma soprattutto scredita abilmente il concorrente più pericoloso, l'editore Bemporad «che è più anziano ma non ha stabilimenti propri ed è per esempio editore di Nitti». Quello di Saverio Nitti, presidente del Consiglio all'epoca dell'impresa di Fiume, antifascista ed esule, è un nome che basta da solo a «bruciare» Bemporad. E' solo un episodio fra i tanti del libro, e dei quali pubblichiamo una scelta qui accanto. Il «ritratto d'editore» che ne emerge, nelle sue molte sfumature, è affascinante: Mondadori «usava» 11 fascismo con un solo scopo: crescere, essere lui il primo. E ne seppe uscire con una piroetta audace ma non priva di grazia. Mario Baudino Ridda di voci su Borletti il suo finanziatore: i questurini favoleggiavano di orge, truffe e Mata Hari

Luoghi citati: Arosio, Fiume, Milano, Segrate