Satiri da slegare

Satiri da slegare In tv e sui giornali, è il momento d'oro dei vignettisti. Ma sono davvero più audaci di cent'anni fa? Satiri da slegare EE ragazze di Avanzi applaudono su Raitre il cardinale di Milano che scende benedicente da un toboga ripetendo «Allemagna, Alle-magna». Cuore, che ora va a far lezione nei licei romagnoli, è passato alla parolaccia stabile aprendo però all'autocritica, vedi la casalinga di Mosca che compra tre cipolle e due chili di libertà in polvere poiché non c'è altro sul mercato, e li cucina alla strogonov. «Il guaio è che bisogna essere un po' stronzi già da prima...», dice, triste, Bono di Staino sull'Unità a proposito del Borghini neo socialista, ultimo transfuga dal pds. ElleKappa, formidabile unica donna in campo, sbeffeggia il direttore di Panorama che questa settimana con la redazione in sciopero si è fatto il giornale da solo, mostrandolo al lavoro «dalle tette di mattina alle tette di sera» a confezionare i servizi sui seni al silicone. Esce Linus di nuovo gran formato: «Con quella copertina patinata detestabile», geme il corresponsabile Angese che, all'interno, firma «Il trapano», strip sull'Avvocato e Romiti. Intanto la vignetta di Giannelli arriva in prima pagina al Corriere della Sera. Nel contesto, lo «storico» Wojtylaccio tv sembra nulla: non solo a confronto con Blob (che si spera resti poetica della scheggia e non si trasformi in stordimento, come teme Benni) ma anche a confronto con le consonanti doppie, triple, quadruple pronunciate da Cossiga, semioticamente esaminato. Allora è così? La satira politica italiana diventa sempre più audace e libera, va addirittura fuori schema, è adottata dalle istituzioni, siamo un Paese coraggioso oltre che ricco d'inventiva? Conforta la notizia che alla facoltà di Magistero di Torino c'è da quest'anno un seminario per studiare e imparare a far satira. Però «no, tutto è sempre lo stesso» è da tempo l'opinione di Emanuele Pirella, che tuttavia aggiunge: «Ci sono troppi interessi da rispettare... ogni cosa gira all'incontrano, prima si crea 10 spazio poi lo si riempie...». Neppure Pino Zac ritenne mai i nostri tempi di fax e di computer avvicinabili alla stagione del Becco giallo, dei Galantara e degli Scalarmi (benché molti vedano in Forattini una forza paragonabile) e poi di Mosca e Guareschi, solo alcuni tra i nomi di punta nella satira fino al secondo dopoguerra. La tesi del «fìnto nuovo» rischia di trovare buon appoggio anche in un saggio di Viva Tedesco appena uscito da Franco Angeli, dedicato alla Stampa satìrica in Italia 1860-1914. Contro gli stivali di Craxi e i capelli ritti di Berlinguer trionfano, all'epoca, 11 Depretis «Fortingamba» con le stampelle e il Crispi che nel '94 contempla l'Italia in gabbia, dopo lo scioglimento dei fasci siciliani e la proclamazione dello stato d'assedio; le orecchie a sventola di Andreotti sono inflazionate quanto il naso a becco e la marsina di Giolitti che «tanga» con il papa o siede su un pitale targato Dronero. Quanto al pisello minimo di Spadolini, beh, sono gli umoristi risorgimentali a lanciare da noi il nudo, insieme con la deformazione dei personaggi, preferibilmente macrocefali, con corpiciattoli villosi. I giornali-eroi della satira, dal piemontese Fischietto al romano Pasquino, al milanese Spirito folletto, al Lampione di Firenze, dal più tardo Travaso delle idee all'Asino di provata fede socialista, non risparmiano battute pesantissime relative ai furti, agli inganni, ai delitti di ogni tipo che la classe politica perpetra a danno del povero cittadino, sicché Minghetti è un «cucina-pollastri», Crispi «bismarckino» indossa il «cappottone del '70», arriva poi «Starapa» di Rudinì (il marchese si chiamava Starraba), i piemontesi «buzzurri» sono quelli che hanno fatto la breccia di «Porta Pija», Pio X nelle caricature anticlericali è normalmente Bepi. Travaso e Bastone si danno botte prò e contro massoneria e socialismo, alle elezioni del '909 quest'ultimo sbraita: «VogUo canta 'na bella stornellata / sopra la magna Roma ch'è sparita / perché era magna e se la son magnata...». Nulla di nuovo, davvero? O troppo di nuovo? «Piuttosto tutto da cambiare, globalmente, nel giornalismo italiano di oggi», dice Stefano Benni che adesso si dedica soltanto ai libri dopo aver abbandonato la satira politica militante e anche la rubrica sull'Espresso per incompatibilità con i modi del recente muta- mento di direzione. «In questo momento alla satira si chiede troppo. I "satiri", tra i pochi che continuano a esercitare un linguaggio autonomo dal potere, dovrebbero sostituire tutta una informazione critica che in Italia non c'è. L'umorista invece può soltanto contagiare, denunciare, dire persino: "Cossiga è un de¬ linquente, Andreotti è un mafioso", come ormai avviene, neppur più nei limiti della satira. Ma se a questo non segue niente, allora il discorso sulla satira va inquadrato nella crisi generale. Certo, in Italia esiste ancora un'opposizione e esistono ancora idee non conformiste; merito, o necessità, di chi continua la sua battaglia, non certo per avere il 51%: è una battaglia di minoranza. Che rispetto molto e che continuerò anche se sta diventando quasi snobistica. Perché si è sempre di meno, e perché quella parte di giornalismo o di spettacolo che dovrebbe essere in una posizione perlomeno distante dal potere (Forattini, per esem- pio, non è un qualunquista, come dice, ma un autore dichiaratamente di regime) si sta schierando decisamente col potere». «Minoranze si è comunque facendo satira - precisa Altan, il padre di Cipputi -. Esprimere dubbi vuol dire andare controcorrente. Certo nei momenti in cui le cose sono più chiare, gli schieramenti più precisi, la divisione tra buono e cattivo è facile. Quando come adesso la confusione è terribile, tutto si complica. Siamo in un minestrone». Altan ribatte all'accusa rivolta a Cuore: di fare, soprattutto di aver fatto, satira di partito. «Siamo molto autocritici, il nostro gruppo comprende posizioni diverse tra loro. Anche se, per il nostro mestiere, c'è sempre bisogno di un certo schieramento: la satira a 360 gradi non ha senso, scade a semplice gioco». Il «Bobbio della satira politica», così Altan viene chiamato anche dagli avversari, non è d'accordo neppure con la presa di posizione del pds contro Forattini e conseguente querela a Panorama per la celebre copertina con Gorbaciov che dal taxi guidato da Berlinguer distribuisce rubli alle battone Occhetto e D'Alema. «Se sono stato contrario a questa vignetta è piuttosto perché non mi sembrava buona, mancava di quel tanto di ambiguità che suggerisce il dubbio: e questo è il valore del nostro linguaggio. Altrimenti la battuta diventa una specie di insulto». Anche i compagni di Altan, tuttavia, sono accusati di insultare. «Restiamo nell'ambito delle armi del mestiere». Alberto Fremùra disegna vignette per i giornali del gruppo Monti e vive in provincia, a Livorno, dove fa anche il pittore. «Mi definiscono di destra, penso soprattutto di essere un occhio distaccato. Gli umoristi di sini- stra mi sembrano molto tormentati, ma la verità è che oggi siamo tutti alla ricerca di un futuro che non si intravede, che non esiste. La satira è in aspettativa». Giorgio Cavallo definito «uno dei tratti storici nel panorama vignettistico italiano» non sente bene né presente né futuro. «Oggi sono i nostri governanti a far satira, ci superano. Purtroppo fanno più piangere che ridere. E' anche vero che esiste più censura che nell'800, ma bisogna ricordare che allora non eravamo passati attraverso il fascismo, un male sempre latente». A aprile, per Sperling & Kupfer, Angese pubblicherà Qualità totale. Sarà uno sterminato fumetto su Agnelli, «ma soprattutto su Romiti. Una figura che mi ha sempre interessato. Come l'Avvocato è soft, così Romiti è ferrigno». Senza gravi nostalgie per le glorie del Male, né per le sofferenze di Zut vissuto troppo brevemente, Angese abita «su un monte» e lavora in armonia con se stesso convinto che la satira abbia finito il suo ruolo di far ridere. Disegna e scrive per Cuore e per l'Espresso, insieme con Fulvia Serra ha «rifatto» Linus, pensa a un romanzo a modo suo sull'economia. Di fronte «alla guerra della sinistra che abbiamo perduto - riflette Angese -. A questo punto uno mette la spada nella roccia e aspetta. Non sono un orfano del marxismo, ci ho creduto sempre poco... Ma se guardo il mondo che mi circonda e che ha vinto, i telefonini, i fuoristrada, Funari, la Carré, penso che non hanno vinto per sempre. So dove ho messo la mia spada, posso andarla a riprendere». «Ma guarda che roba! - scherzeggerebbe Totò (con Gino & Michele) - e poi dicono che uno si butta a sinistra». Mirella Appkrtti Benni: nei giornali tutto da rifare Cavallo: battuti dai governanti Altan: senza senso la satira a 360° Angese: la mia spada nella roccia Sopra, Angese (Sergio Angeletti). In alto, ° ^r^y^^y Francesco Tullio Altan, il «Bobbio della satira» Una copertina di «Cuore», il settimanale satirico che l'anno scorso è diventato autonomo dall'«Unità». Nel riquadro, Sergio Staino, l'inventore di Bobo