Gli slogan dell'apocalisse

Gli slogan dell'apocalisse UN ANNO DALLA GUERRA: LE ARMATE DELLA PAROLA Pacifismo o intervento: politici, intellettuali, religiosi divisi. Gara alla previsione più catastrofica Gli slogan dell'apocalisse BROMA OME eravamo. E cosa dicevamo. Esattamente un anno fa, con l'attacco americano su Baghdad, il villaggio-Italia entrava in guerra. Per quarantacinque giorni le strade si svuotano e i televisori rimangono accesi notte e giorno. Ha inizio la discussione e l'Italia si divide in due: pacifisti contro interventisti, amici di Bush contro antiamericani a oltranza. Si prende familiarità con termini sino ad allora sconosciuti, come Scud o Patriot. Ci si commuove con l'immagine di un cormorano inzuppato nel petrolio, per le sorti di Cocciolone e Bellini, per il destino della soldatessa Melissa nelle fauci di Saddam. Si entra nello psicodramma collettivo, dove alle analisi puntuali si sovrappongono animosità un po' isteriche, e bollettini militari si intrecciano a profezie apocalittiche. Un'assemblea interminabile. Eccone qualche frammento. Cominciamo dalla fine. Ricordate i soldati iracheni che, laceri e affamati, si consegnavano ai vincitori e persino alla troupe del Tg3? Per la scrittrice Dacia Marami «quelle bandiere bianche allegramente sollevate dobbiamo leggerle per quello che dicono di più nel linguaggio dei gesti: non viltà, né ossequio ma slancio verso la pace». L'opposto dell'Iraq descritto dal sociologo Francesco Alberoni sul Corriere della Sera: «Sono le società giovani come l'Iraq di Saddam Hussein, piene di giovani frustrati e violenti, che cercano la guerra». Stava volgendo al termine il conflitto che nell'immagine dei suoi oppositori avrebbe dovuto essere «la Terza guerra mondiale» (Giampaolo Pansa), «un'avventura senza ritorno» (Giovanni Paolo II), «lo spettacolo di una Terza guerra mondiale che deve essere scientifico, quantizzatale, senza qualità, pulito» (Valentino Parlato sul Manifesto). E che nel fronte opposto qualcuno vedeva in tutt'altro modo: «Finalmente siamo a una guerra atta a risolvere i problemi» (il politologo Giovanni Sartori in un'intervista a Italia Oggi); «non c'è nulla da vergognarsi nel riconoscere che, nel Golfo, si combatte per la difesa di precisi interessi economici» (Piero Ostellino). Tra gli oppositori della guerra, non tutti sventolavano il ramoscello d'ulivo. «Assassino», gridava Renato Nicolini ad Andreotti nell'aula di Montecitorio. «Dovremo ricordare i nomi di chi ha aiutato o tollerato la menzogna», minacciava Franco Fortini, «non perdonare e non tradire quel che ora sappiamo. Essi, i nostri nomi, non li dimenticano. Siamo da sempre nei loro schedari. Prepariamo i nostri». «Premere il pulsante del voto a favore della linea di maggioranza equivale letteralmente a premere un grilletto»: gli ecopacifi- sti Gianni Mattioli e Massimo Scalia contro i «dissidenti» del gruppo parlamentare Verde. Risposta: «Il popolo è bue» (Giorgio Bocca su Prima comunicazione); «i pacifisti sono lupi travestiti da agnelli» (Lucio Colletti); «noi non siamo in grado di chiederci se il riposo del guerriero occidentale sia buono o cattivo perché esso è semplicemente impossibile» (ancora Giorgio Bocca). Del resto, nel fronte pacifista ecco descritto il «guerrafondaio» come una belva assetata di san- gue: «Bush ha reagito a una decisione irachena con la stessa risposta del lupo a Cappuccetto Rosso: così potrò mangiarti meglio» (Raniero La Valle). E il sociologo Franco Ferrarotti: «Se Bush vuole la sua balena bianca, come un novello capitano Achab meivilliano, lo si mandi a Disneyland». «Maggiordomo in tuta mimetica, uno della schiera dei bonzi da intervento in guerra» (il settimanale cattolico II Sàbato contro il politologo «interventista» Nicola Matteucci). «Io Saddam lo voglio morto. Desidero che muoia. Mi dirai che il problema non si risolve con la sua morte. Ma ciò non mi impedisce di desiderarne egual- mente la morte, il suo annichilimento», controbatte il giornalista Valter Vecellio svU'Avanti! Sempre in tema: «L'annichilimento di Saddam sarà l'annientamento del pci-pds» (il ministro degli Esteri Gianni De Michelis, in un informale scambio di battute con i giornalisti a Montecitorio). E poi, secondo il generale Luigi Calligaris, che la «rappresaglia» contro Saddam si faccia presto, «poiché, se la vendetta è un piatto che si mangia freddo, la rappresaglia va consumata al più presto». Suonano le sirene della retorica bellicista: «Le pupille del pilota sputano rabbia: non ha ancora sganciato i suoi razzi sul nemico» (Oriana Fallaci, da una delle sue corrispondenze dal fronte). E Indro Montanelli, direttore del Giornale: «Bush non raggiungerà Saddam sulla piazza del villaggio spazzata dal vento. Ma gli ha chiuso ogni via di scampo mettendolo alla scelta tra l'umiliazione e la morte. Come avrebbe fatto John Wayne». Rispondono le cannane della retorica pacifista: le scelte antiguerra derivano dal mio essere «dalla parte degli ultimi e dei meno garantiti socialmente invece che dei più fortunati in una società opulenta» (Vittorio Sbardella, ras della democrazia cristiana di Roma). Pietro Ingrao: «In questi giorni c'è stata tanta neve. Anche a Roma c'è stata la neve. In questo biancore la criniera dei defunti era lontana». «Le donne sono per natura contro la guerra e stanno dalla parte della pace contro il conflitto» (Maria Antonietta Macciocchi). «Alla mezzanotte di martedì 15 gennaio si è levato il sipario su quella che tra poche ore potrebbe diventare una carneficina ai limiti del genocidio», seri- veva su Avvenimenti il corrispondente del Tg3 Lucio Manisco all'indomani dello scoppio delle ostilità. Inizia la gara alla previsione più catastrofica. «Le centinaia di pozzi petroliferi continueranno a bruciare per anni nel Kuwait», dichiara Ermete Realacci, leader della Lega Ambiente. Si profila «una catastrofe ecologica di lunga durata le cui ripercussioni sull'inquinamento atmosferico e sul clima investirebbero il bacino del Mediterraneo fino alle regioni meridionali italiane» (ancora Lucio Manisco). Massimo Cacciari: «Altro che guerra chirurgica! A questo punto, Bush è costretto a scatenare la guerra totale». «Stiamo vivendo l'ultima domenica di pace» (Alba Panetti a Galagoal alla vigilia della guerra). «Se tu sei Superman sai che dando un pugno sbatti l'avversario sulla luna, provochi lo sbriciolamento, anche perché potrebbe darsi che la catastrofe gravitazionale fosse esattamente quello che l'avversario voleva. E che proprio non dovresti concedergli», scrive Umberto Eco sull'Espresso, rivolgendosi al presidente George Bush. E arriva la replica minimiz- zatrice. Sulle colonne del Corriere della Sera il filosofo Emanuele Severino disegna uno scenario di pace in cui Bush e Gorbaciov andranno a braccetto: «Gran parte dell'opinione pubblica mondiale accetta il monopolio planetario della forza da parte del Duumvirato UsaUrss». E lo storico Piero Melograni: «Non sappiamo a quale prezzo, ma anche a Baghdad la cultura della guerra finirà per declinare». Ancora previsioni. Apocalittiche: «Lo speciale e in qualche modo inedito orrore di questa guerra consiste e si riflette nell'impossibilità di immaginare per dopo una pace che non sia altrettanto orribile. Distrutto l'Iraq, gli occidentali si troveranno dì fronte a uno spirito di rivalsa e di rivolta così unanimi che saranno costretti a instaurare in tutto il Medio Oriente una pace armata di tipo neocoloniale», scrive il poeta e critico Giovanni Raboni. Sfiduciate sulle reali intenzioni degli americani: «Se il piano di Gorbaciov dovesse cadere, l'attacco terrestre comincerebbe e finirebbe come oramai tutti pensano. Cioè a Baghdad» (il direttore dell'Unità Renzo Foa). orta olari vendo Sono i pacifisti descritti ancora da Giorgio Bocca: «Sfilano nei servizi di Rai3 i compagni sindacalisti pacifisti. A sentirli parlare sembrano fossili del pliocene cubano e vietnamita». Quelli che, secondo Federico Orlando del Giornale, «bianchi, rossi o verdi, si ritrovano nella Guardia Repubblicana di Saddam». E gli altri, come parlavano? «Nella prima battaglia terrestre in Arabia sono morti centinaia di iracheni e purtroppo dieci marines» (il ((purtroppo» è di Cesara Buonamici, giornalista del tg di Emilio Fede su Italia Uno). «La guerra l'ha fatta la comunità internazionale. E se noi vogliamo essere iscritti al club dobbiamo pagare le quote» (Bruno Vespa, direttore del Tgl). Si infiammano gli animi. «C'è un momento in cui bisogna parlare di pace e c'è un momento in cui è necessario che emerga un altro concetto, quello della vittoria. Il problema, adesso, é vincere questa guerra» (Giuliano Ferrara da Radio Londra). E per vincere, occorrono altre regole di comportamento: «Il contrammiraglio Buracchia si è dimenticato che si può pensare benissimo anche in silenzio» (Saverio Vertone sul Corriere della Sera). Tempi di ferro. Alfonso Luigi Marra, editore di se stesso e habitué dell'avviso a pagamento sui giornali, si schiera con «il popolo iracheno» e chiede un'esemplare Norimberga per «Bush, Andreotti e Cossiga». Sul Manifesto, il giornale che invita alla «diserzione di massa» e che per tutta la durata della guerra espone a mo' di logo una bara a forma di pompa di benzina, Rossana Rossanda afferma che «il comunismo è ragione» e si chiede se il disastro non dipenda anche «dall'assenza di una sinistra, in qualche modo figlia del marxismo». Per Roberto Formigoni, leader del Movimento popolare e del pacifismo papista, la previsione è che in Italia «emergerà una sorta di politica aristocratica che vorrà fare a meno delle realtà popolari cattoliche ed ex comuniste». Per il Re della Lega e imprevisto anti-interventista Umberto Bossi, invece, «l'unico che con la guerra del Golfo ci ha guadagnato è Giulio Andreotti» (affermato in un'intervista al Giornale di Montanelli). Lo stesso quotidiano che pùbblica il proclama di Alberto Pasolini Za nelli; «L'aeronautica americana e alleata, padrona incontrastata dei cieli, potrà dedicarsi alla distruzione della terra. Sarà la prima guerra "moderna", la prima occasione per sperimentare intere "generazioni" di nuove tecnologie». Tutt'altro tono nella premonizione che a Madrid, qualche mese più tardi, risulterà fallace, dello storico Nicola Tranfaglia sull'Unità: «Sarà più difficile convincere Israele ad accettare una discussione sui territori occupati». Niente in confronto alla cupa profezia dello storico dell'arte ed ex sindaco di Roma Giulio Carlo Argan: «C'è speranza di evitare il disastro se il capitalismo trionfante ha già trovato il modo di dilapidare i patrimoni culturali anche senza spargimento di sangue?». Pierluigi Battista Papa Wojtyla definì il conflitto «un'avventura senza ritorno». Eco temeva una «catastrofe gravitazionale» ì Indro Montanelli paragonava Bush aJohn Wayne. La Fallaci dal fronte scriveva: «Le pupille del pilota sputano rabbia» I Giuliano Ferrara: «Il problema, adesso, è vincere questa guerra». Montanelli: «Bush ha chiuso a Saddam ogni via di scampo» Rossana Rossanda. Sul «Manifesto», che invitava alla «diserzione di massa», si chiedeva se il disastro non dipendesse anche «dall'assenza di una sinistra in qualche modo figlia del marxismo» Oriana Fallaci al fronte. Sopra Pietro Ingrao, a destra Giulio Carlo Argan Umberto Bossi: «L'unico che ci guadagna è And reotti». Giorgio Bocca: «Il popolo è bue». Emanuele Severino: «L'opinione pubblica mondiale accetta il monopolio planetario Usa-Urss» Roberto Formigoni: «Emergerà una sorta di politica aristocratica che vorrà fare a meno delle realtà popolari cattoliche ed ex comuniste». Alba Panetti a «Galagoal»: «Stiamo vivendo l'ultima domenica di pace»