I leader in fuga verso la politica

I leader in fuga verso la politica IL FASCINO DEL PALAZZO I leader in fuga verso la politica Ma i partiti amano poco il sindacalista riciclato LA crisi è generale, l'emorragia dolorosa»: così, appena tre mesi e mezzo orsono, un pensierosissimo Giorgio Benvenuto commentava il grande esodo dal sindacato. Non si riferiva (non ancora) al suo, di esodo. Ma quelle parole un po' sconsolate sui modesti guadagni del sindacalista, sulla «frustrazione» del mestiere e quindi sull'«inevitabilità» delle fughe qualcosa dovevano pur significare. E' vero: la professione affonda e i «quadri», a tutti i livelli, scappano. Chi s'improvvisa banchiere e chi assicuratore. Chi riesce a strappare la presidenza di qualche carrozzone e chi la poltrona di una direzione generale di ministero. Benissimo, cioè malissimo. Alla prova dei fatti è difficile, dura e dolorosa la vita del dirigente sindacale che si ricicla. Tanto più se chi abbandona è stato importante, amato dalle masse, coccolato dai giornali. Benvenuto lo sa bene. E la sua saggia virata professionale verso l'alta amministrazione servirà almeno ad attutire la botta (fatta anche di inevitabile nostalgia). Il dramma accade di norma quando i grandi leader di Cgil, Cisl e Uil decidono di ficcarsi, in gene- re speranzosi, in quel tritacarne che è la politica dei partiti. Qui vige un crudele codice non scritto: l'inconsapevole sindacalista (specie se dal glorioso passato) non è solo un concorrente ma anche un intruso, uno da emarginare, a volte da umiliare. A questa spietata, invisibile normativa partitocratica ci sono ovviamente delle deroghe. Ma dietro a un Marini che si ritrova quasi per caso ministro o a un Garavini che guida il neonato partito della Rifondazione comunista c'è un significativo camposanto di personaggi illustri che non ce l'hanno fatta. Uomini di valore ridotti a fantasmi. E non è detto neppure che quelle due felici eccezioni rimangano tali. Ex sindacalisti democristiani divenuti ministri ce ne sono stati parecchi, ma gli ultimi due, cioè Scalia e Coppo, son finiti nel dimenticatoio. Inoltre Marini, forse capolista della de a Roma, dovrà vedersela con un tipetto sveglio come Sbardella. Garavini se l'è già vista brutta al congresso. E con Cossutta non è ancora finita. Fa piuttosto riflettere la seconda, difficile esistenza di Luciano Lama, un tempo fra i protagonisti della vita nazionale. Ebbene, oggi si fanno studi e tesi di laurea sulla «sua» Cgil, lui se ne sta in un ufficetto al Senato, di cui è valido vicepresidente. Ma nel pei, e poi nel pds, non l'hanno mai amato. Un estraneo nel migliore dei casi, uno a cui far pagare le polemiche del passato nel peggiore. Lama se ne rese conto subito: quando, appena uscito dal sindacato, alle Botteghe Oscure non trovarono di meglio che affidargli la responsabilità di quello spettrale «ufficio- programma» che un programma non lo fece mai. E il suo vice socialista Agostino Marianetti? Una faccia pulita, un uomo assennato con un forte seguito tra i lavoratori. Arriva nel psi e subito, in modo strisciante, gli mettono nel conto (anche se non è vero) di essere filocomunista. Poi, tra astuzie, promesse e dinieghi, l'onorevole Marianetti si ritrova a combattere (e spesso a soccombere) nella giungla delle tessere o a proporre invano un'autoriforma organizzativa che rimane sulla carta. Di Pierre Camiti si diceva - a ragione - che era il leader sindacale più moderno. Adesso la Rai è prodiga di comizi ritrasmessi, quella voce metallica e concitata che accompagna le sequenze bianco e nero dei metalmeccanici a Reggio Calabria. Ma lui, Pierre, è stato mandato allo sbaraglio per la presidenza della Rai, sacrificato di fronte a un vicepresidente psdi che si chiama Leo Birzoli. Risarcito con un seggio a Strasburgo. E poi? Poi Camiti dirige una rivista, Il bianco e il rosso. Dicono che ora si presenterà al Senato. Auguri. Ma il punto rimane: la seconda vita del sindacalista è sempre peggiore della prima. E Bruno Storti, dopo il Cnel, è in pensione. Luigi Macario, dopo la de, pure. Enzo Mattina risulta clamans nel deserto di Strasburgo per la moralizzazione del psi. Ruggero Ravenna è stato rinviato a giudizio per aver intascato, come consigliere delle Ffss, 350 milioni per le «lenzuola d'oro». Più fortunato Giacinto Militello, all'anti-trust. O Gastone Sciavi, ex Cgil, oggi manager. Filippo Ceccarcrlli Luciano Lama, da capo carismatico della Cgil a vicepresidente del Senato. Sopra: Pierre Camiti dalla Cisl al Parlamento Europeo

Luoghi citati: Reggio Calabria, Roma, Strasburgo