Cossiga: io restituii le armi, il pci no di Francesco Santini

Cossiga: io restituii le armi, il pci no «La de ci finanziò per acquistare i mitra sul mercato libero, i carabinieri diedero le bombe» Cossiga: io restituii le armi, il pci no «Vorrei dare l'incarico a Craxi ma aspetto il voto» LONDRA DAL NOSTRO INVIATO I de armati nel 1948? «Io stesso ricevetti i fondi dal partito per acquistare armi sul libero mercato. Confermo che fummo riforniti dai carabinieri di bombe a mano perché se, perse le elezioni, il partito comunista avesse tentato il colpo di Stato, carabinieri e polizia dovevano difendere gli obiettivi strategici, e noi le sedi dei partiti e gli uomini politici». Spadolini e Gladio? «Il senatore Spadolini non ha certamente meno responsabilità di tutti quelli che sono stati presidenti del Consiglio, ministri della Difesa, dell'Interno e degli Esteri. Ed anche qualche sottosegretario: Sansa e Mazzola. Io chiederò la pubblicazione di quanto riferito alla Commissione sui Servizi segreti. Ho parlato ininterrottamente per tre ore e mezzo. Per non fare la figura dell'allocco, certo mi sono documentato, ho dovuto studiare tutto l'incartamento. Ma credete davvero che io andavo dinanzi alla Commissione senza sapere tutto, anche nei più piccoli particolari?». Presidente, darà a Craxi l'incarico di formare il governo dell'undicesimi legislatura? «Certamente, ma aspettiamo i risultati elettorali». La de è d'accordo? «Per come si stanno mettendo le cose ho qualche dubbio». Occhetto è molto severo nei suoi confronti. «Ma che cosa c'entra Occhetto? Siamo in campagna elettorale. Se Occhetto, invece di dire questo cumulo di sciocchezze, sapesse presentare agli operai e ai contadini italiani una formula politica per risolvere i problemi, sarebbe più serio. Occhetto non ci fa rimpiangere Berlinguer, perché giocherei in famiglia, ma non ci fa rimpiangere nemmeno Natta, né ci fa rimpiangere Longo, né ci fa rimpiangere Togliatti. Non c'è da rivelare proprio niente ad Occhetto, altrimenti gli chiedo che lui riveli, una volta per tutte: dove prendeva i denari? Lo sappiamo, io ho detto di non parlarne più. Gli altri partiti prendevano denari dagli americani, ma vo gliamo sempre rigirare le stesse cose, siamo l'unico Paese al mon do a rimestare questa melma». Sono le ultime battute di Fran cesco Cossiga che torna ad impugnare il piccone. Conferme e nuove rivelazioni di un Capo dello Stato «allibito», «dispiaciuto», «preoccupato», «addolorato». Una volta ancora afferma con toni gravi: «Sono stato abbandonato e lasciato solo alle ingiurie di quattro o cinque membri del par tito del quale ho fatto parte». Nella sede splendida della nostra ambasciata londinese il Capo dello Stato torna a parlare del piano Solo, del generale De Lo renzo e rivela, con durezza: «Se volete sapere chi fosse presente alla riunione nel salotto di casa Modino, chiedetelo ad Antonio Gava, perché c'era suo padre: e fece bene suo padre ad andare in casa Morlino ed ha fatto bene a dire e a fare le cose che ha fatto». Perché è addolorato? «Io non ho difeso me stesso per Gladio. Io ero nulla. Un piccolo ingranaggio. Ho difeso Antonio Segni sul piano Solo. Rivendico con orgoglio e con onore di essere stato democratico cristiano dal '44, difendo la politica della de fatta assieme agli altri partiti democratici: il partito repubblicano, il liberale, il socialdemocratico e, infine, dopo un duro travaglio superato con coraggio, da Pietro Nenni, anche il psi». Perché dispiaciuto? «Perché Paolo, Mario e Giuseppe Segni parlano di cose che non sanno, perché difendono il padre da cose delle quali non deve essere difeso». Perché preoccupato? «Mi preoccupa Mario Segni che ritiene, come ha già fatto una volta, di costruire le sue fortune politiche facendosi corteggiare da alcuni uomini della sinistra». Cossiga conferma quindi che nel '48 fu armato per ordine dell'ex presidente della Repubblica Antonio Segni che allora era un dirigente della de sarda ed aggiunge: «Il partito comunista non fece la rivoluzione, e forse sarebbe riuscito a prendere il potere con il colpo di Stato se i democristiani di allora non fossero stati così cacadubbi come sono in gran parte quelli di oggi. I comunisti sarebbero riusciti a prendere il potere, ma non lo fecero. Fu allora che nacque il vero compromesso storico». Ma Cossiga è stanco di queste polemiche: «Siamo l'unico Paese dove ancora si parla di queste cose». Che poi la de si fosse armata nel '48 è «noto a tutti». Perché tutto questo non accadde in Italia? «In Italia tutto questo non accadde perché noi eravamo nell'area di influenza' delle potenze aliente. Non accadde perché Stalin richiamò duramente il partito comunista a questa realtà e non accadde per la grande saggezza di Togliatti che frenò le imprudenze di alcuni esponenti del partito tra cui Secchia e Longo. E da allora iniziò il compromesso storico, che ebbe come primi soggetti De Gasperi da una parte e Togliatti dall'altra. L'Italia, ricordiamo, è un Paese dove il potere fu sparti to perché intere province, intere regioni ed intere città furono la sciate governare liberamente al partito comunista, oggetto del compromesso storico: il partito comunista non fece la rivoluzio ne, rinunciando a prendere il po tere. Comunque io sono stato sottosegretario alla Difesa e conosco le discriminazioni che sono state fatte in Italia agli appartenenti al partito comunista. Eravamo, ricordiamolo - checché ne pensi il senatore Bobbio, che dice che dal '48 non esisteva più un pericolo comunista - in un regime di guerra e di strisciante guerra civile Se ognuno parlasse delle cose che conosce io non dovrei parlare di filosofia, e Bobbio non dovrebbe parlare di politica». A una domanda sulle critiche da lui rivolte recentemente a col laboratori della Stampa, Cossiga ha risposto: «Ma c'è anche il di rettore, che è un vostro collabo ratore, con il quale faccio interviste. Il direttore poteva firmare una mia lunga intervista con la sua firma ma ha ritenuto invece di farmela rifare con un suo redattore. Ho considerato questo un gesto di grande signorilità e di grande correttezza deT^dirèttore nei confronti dei suoi redattori. 10 - ha concluso il Presidente - sto facendo una lode, ho porte aperte nei confronti del vostro giornale, che è un giornale libero perchè è 11 giornale di chi dice, come Lietta Tornabuoni, che sono Napoleone perchè difendo un'Arma che non è da difendere, di Alessandro Galante Garrone e di tanti altri giornalisti normali». Cossiga non rinnega nulla del suo passato di democratico cristiano: «Sono preoccupato profondamente perché mi accorgo che nel nostro Paese è come se non fosse accaduto nulla. Siamo ancora al piano Solo, a Gladio, ai Servizi deviati, mentre il pds cambia home e cercardi cambiare, una parte della democrazia cristiana e del mondo cattolico ha un'immensa nostalgia del passato». Perché? «Perché era più facile vincere le elezioni parlando di diga anticomunista. E sappiatelo, sono io che ho inventato questo slogan. Io sono andato nelle piazze a chiedere i voti in nome di una diga anticomunista. Ma adesso è ora di smetterla. Non siamo più nel '48». Presidente, come passò la notte del 18 aprile '48? «La passai nella sede del comitato della de, in via Usai, a Sassari. Prefettura, poste, telefoni, acquedotto è gas non dovevano assolutamente cadere, nel caso di un tentativo di golpe rosso nelle mani dei comunisti. Per questo la Pubblica sicurezza e i carabinieri dovevano prenderne il controllo. Ai dirigenti della de provinciale fu detto che le forze dell'ordine non sarebbero però state in grado di difendere i partiti. E così io andai in via Usai. Per questo a gruppi di giovani del partito fu dato l'incarico di costituirsi in squa- dre armate». Tra quei «ragazzi» c'era anche Francesco Cossiga. Ma le anni acquistate a libero mercato? «Sì, erano state lasciate dai tedeschi quando se ne erano andati via.^Lo stesso" avevano fatto gii americani. La mia dotazione consisteva in bombe a mano e in un mitra Sten con una serie di caricatori. L'addestramento per le bombe ci fu fatto in campagna, per le mitragliatrici fu scelta una rete di ricoveri antiaerei nel sottosuolo di Sassari. Tra noi c'era un grande cardiologo, poi senatore, e oggi scomparso, Francesco Campus, mi ricordo che quasi non riusciva a tenere in mano lo Sten e tremava quando ci si adde strava all'uso delle bombe a mano. Quando si vide che nel pei la saggezza aveva avuto la meglio perché Togliatti ordinò lo stop, ricevemmo le istruzioni di lasciare le armi, anche quelle acquistate sul mercato libero. E così feci. La guerra civile fu evitata per la saggezza di Togliatti certo, ma soprattutto per quella di Stalin che aveva dato questo consiglio ai comunisti italiani e come è ampiamente documentato». Voi avete restituito le armi e il pei cosa fece? «Per alcune c'è il documentato timore che siano state poi consegnate da frange estremiste del pei alle nascenti Br, come gli stessi brigatisti del resto hanno ammesso». Cossiga vuole archiviare e c'è chi gli domanda di Granelli. Ironicamente egli attribuisce ad un sosia «le critiche di Granelli». Perché «Granelli frequentava il comune amico Martora e dovrebbe conoscere più di me quale fu il ruolo dei giovani democristiani specie'dei partigiani de attorno al 18 aprile '48. Il guaio è dice Cossiga - che Granelli non ha capito, non capisce che la mia è una provocazione rivolta a democristiani e comunisti perché la smettano di rinfacciarsi il passato. Granelli deve capire che il comunismo internazionalista è finito altrimenti non continuerebbe a tremare come una foglia e ad inseguire il sogno di un suo personale accordo con il pei per salvarsi l'avvenire politico». Francesco Santini

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