Il figlio Mario: sono allibito
Il figlio Mario: sono allibito Il figlio Mario: sono allibito Per Granelli accuse da respingere Ora deve dimettersi, insiste il pds ROMA. «Siamo allibiti per le parole di Cossiga su fatti che non conosciamo e tanto lontani nel tempo». Così Giuseppe, Paolo e Mario Segni hanno commentato le affermazioni del Presidente su Antonio Segni. «Ciò che dobbiamo dire con amarezza - sostengono i figli del leader scomparso - è che ci addolora vedere il Capo dello Stato gettare ombre e sospetti su persone scomparse da tanti anni che non possono più rispondere; e per di più su persone che hanno servito lo Stato con assoluta lealtà». La clamorosa «autodenuncia» di Francesco Cossiga sulle formazioni armate democristiane nell'aprile del 1948 ha provocato la reazione di tutte le forze politiche. «Sono accuse da rispedire con fermezza al mittente», dice Luigi Granelli, della sinistra de, chiedendo un intervento ufficiale del partito «a tutela della dignità, dell'onore, della funzione storica e politica della de». Il senatore Giagu De Martini, che nel '48 frequentava Cossiga, Celestino Segni e Paolo Dettoli, ha smentito le parole del Presiden- te. «Non so come salti fuori questa storia - dice -. Cossiga ha parlato di un mitra "Sten". Allora si diceva che qualcuno ci avesse offerto uno "Sten" per quattromila lire. Una grossa somma che noi non avevamo, e non se ne fece niente». Il pds vuole vederci chiaro. Secondo Achille Occhetto, «Cossiga deve andare oltre la sua confessione per chiarire fino a che punto determinati meccanismi segreti siano stati usati per dominare la politica italiana, a partire dalla strage di Piazza Fontana». A Occhetto fa eco Gavino Angius: «Se la de fosse un partito serio - afferma l'esponente del pds - dovrebbe ora votare per l'impeachment di Cossiga, che ormai è chiaramente fuori della Costituzione». Franco Bassanini vuole le dimissioni: «Se quello che ha detto è vero, deve andarsene, anche se il reato è caduto in prescrizione. Se invece si è inventato tutto, deve andarsene lo stesso». Ancora più duro Sergio Garavini, segretario di Rifondazione. «Le parole di Cossiga - dice - dimostrano che i comunisti si sono sempre presentati lealmente nella democrazia, rispettando il responso delle urne. La de, al contrario, si preparava, in caso di sconfitta, a restare al governo con un colpo di Stato». Nel pli, le posizioni sono divergenti. «I liberali sono con Cossiga - ha detto infatti il segretario Altissimo -, cui riconoscono il merito storico di aver demolito molti tabù e di dire quello che tutti pensano e che a qualcuno fa comodo non dire». Per il vicesegretario Patuelli, invece, è «sorprendente» che i de «pur avendo il ministero dell'Interno, non confidassero nello Stato». Soddisfatta la destra. Nel msi il segretario Fini ha offerto al Presidente la sua totale solidarietà. Secondo il senatore Giorgio Pisano, che ha lasciato il partito per fondare il movimento Fascismo e libertà, «chi c'era lo sa benissimo: eravamo armati noi, lo erano i democristiani, lo erano tutti coloro che non volevano che l'Italia finisse in mano ai comunisti». Convinti che il Presidente abbia detto la verità sono anche Gianni Baget Bozzo, parlamentare europeo del psi, e Marco Pannella. «Era il segreto di Pulcinella - dice l'esponente socialista -. Il miracolo è che siamo riusciti a fare una democrazia dove c'era la guerra civile». Anche secondo il leader radicale, le bombe c'erano ma non avevano peso. «La vera arma vincente della de - commenta - è stata il clericalismo. Non certo le pistole del ragazzino Cossiga». [r. i.j
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