Nel Lingotto stelle e strisce

Nel Lingotto stelle e strisce Viaggio tra pop-art e neo-dadaisti, alla scoperta della nuova America Nel Lingotto stelle e strisce Tra i visitatori studenti, galleristi e famiglie con bambini al seguito «Mamma, ma quella è una macchina rotta». Difficile spiegare ai ragazzini che «Miss Lucy Pink» di John Chamberlain è un'opera d'arte, esempio di quella Junk Art che utilizza rottami, spazzatura e altri oggetti strani. Agli occhi dei profani è un pezzo di auto uscita dallo sfasciacarrozze. Però, quanta America dietro a quelle lamiere, e quanta curiosità davanti alle 200 opere esposte al Lingotto alla mostra «Arte Americana 1930-70». Ieri, primo giorno di apertura, molte persone hanno trascorso alcune ore al Lingotto, davanti alle opere provenienti dai più importanti musei americani. Il Moma di New York, il Withney Museum, il Guggenheim e la National Art Gallery hanno imprestato i «pezzi» più significativi per questa mostra curata da Attilio Codognato e allestita da Renzo Piano. Molti i galleristi, gli studenti universitari, gli americanisti ad oltranza, e tutti quegli esperti che non hanno perplessità a distinguere tra Pop Art, Op Art, neo dadaisti e «Action Painting». Ma sono molte le persone che si avvicinano all'arte americana per la prima volta, senza nascondere la propria curiosità e sorpresa, aiutati dalle didascalie che spiegano: sotto ogni titolo, poche righe per capire che, ad esempio, il «Book III, Laocoon» di Richard Artschwager è «un oggetto minimal che pare adattabile a una funzione domestica, e che invece è pura costruzione fine a se stessa». E così, dopo aver a lungo confabulato con l'amica («Da un quarto d'ora ci domandavamo che cosa fosse questa scultura»), la signora di mezza età con la pelliccia sul braccio capisce e ammette: «Sì, è strana, però è bella. Ma io non la comprerei mai». Gli uomini della sicurezza rincorrono ogni tanto bambini scatenati: come resistere alla tentazione di toccare «Giant Loaf of Raisin Bread» di Claes Oldenburg? Ebbene sì, è un gigantesco pane con l'uvetta rea¬ lizzato in stoffa «imbottita di capoc», specifica la targhetta. E «On Center, Shatter, Shatter» di Barry Le Va? Undici lastroni di vetro spaccati nel mezzo, protetti da una bassa ringhiera che un bambino di sette-otto anni ha scavalcato per rendersi conto di persona che «qualcuno lo ha rotto, forse con una pietra», spiega al padre. Le opere più guardate? Il cubo di legno e spilli da sarta di Lucas Samaras, il calco di cervello umano foderato di biglietti da un dollaro (di Robert Morris), il grande «Four Elvises» di Andy Warhol, con Elvis Presley in versione pistolero, il grandissimo (dieci metri per sette) «Theory of Painting» di Bochner, in «materiali provocatori»: vernice spray e giornali. Qualcuno si ferma in raccoglimento di fronte a un Jackson Pollock; la giovane signora con marito individua la faccia di Marion Brando in «Poker Night» di Thomas Hart Benton; un ragazzo troppo concentrato passa dalla lastra verniciata di arancione («Untitled» di McCracken) all'estintore (vero e funzionante) appoggiato lì a un passo e dice all'amica: «Per un attimo ci sono cascato, pensavo all'opera di un iperrealista». Brunella Giovara Tra i più ammirati il cubo di Samaras e l'Elvis-pistolero di Andy Warhol E per i piccoli è irresistibile il pane (in stoffa) ripieno di uvetta Piccoli mattatori alla mostra dei pittori Usa: questo bimbo è colpito da «Parade», olio di Peter Blume

Luoghi citati: America, New York, Usa