«Mafia e Gelli dietro la morte di Calvi»

«Mafia e Gelli dietro la morte di Calvi» Rivelazioni ai giudici romani: il mandante dell'omicidio fu il cassiere dei clan, don Pippo Calò «Mafia e Gelli dietro la morte di Calvi» La conferma dalpentito Buscetta ROMA. Roberto Calvi fu ucciso dalla mafia. Dopo le rivelazioni di Francesco Marino Mannoia, un altro grande «pentito» di Cosa Nostra, Tommaso Buscetta, conferma che il «banchiere di Dio» rimase vittima di un intreccio tra mafia, alta finanza e criminalità organizzata. Sullo sfondo, nel ruolo di mandante dell'omicidio, il «cassiere» delle cosche don Pippo Calò, che ha già ricevuto un avviso di garanzia dal sostituto procuratore di Roma Francesco De Leo. Secondo la ricostruzione dei pentiti, Calò ha agito da un lato servendosi dei suoi legami romani con la banda della Magliana, e dall'altro all'ombra della P2 e di Licio Gelli. Il racconto di Buscetta risale all'ottobre scorso, quando il sostituto procuratore palermitano Roberto Scarpinato si è recato a New York per interrogare il pentito nell'ambito di un'altra inchiesta. Tra una ricostruzione e l'altra, «don Masino» ha spiegato come fosse convinzione comune, tra gli uomini d'onore, che ad uccidere Calvi fosse stata Cosa Nostra. «Una volta - ha detto Buscetta al giudice - venne a trovarmi in Brasile Gaetano Badalamenti. Ci recammo insieme ad un'edicola che vendeva anche giornali italiani, e sulla copertina di un settimanale vedemmo la foto di Calvi con un titolo che parlava di suicidio. Badalamenti mi guardò e indicando il giornale commentò: "Ma quale suicidio, questa è un'altra delle bravate di zio Pippo", riferendosi a Pippo Calò». Buscetta non andò oltre nella richiesta di chiarimenti perché, come ha spiegato al magistrato, si attenne alla regola secondo la quale tra uomini d'onore non bisogna fare domande. Non ebbe però alcun dubbio sulla veridicità della rivelazione di Badalamenti, perché un'altra buona regola di Cosa Nostra impone agli stessi uomini d'onore di dire sempre la verità agli altri affiliati. Il verbale con le dichiarazioni di Buscetta è già agli atti dell'inchiesta romana sull'omicidio di Roberto Calvi, condotta dal sostituto procuratore De Leo. Nell'ambito di questa indagine è quindi in programma una trasferta negli Usa, dov'è attualmente detenuto Gaetano Badalamenti, condannato dalla giustizia statunitense per traffico di stupefacenti. Un altro viaggio all'estero del giudice De Leo è previsto per l'interrogatorio di Francesco Di Carlo, boss di Altofonte, in provincia di Palermo, «esiliato» in Inghilterra per aver sottratto droga all'organizzazione mafiosa. Di Carlo è ora rinchiuso in un carcere britannico con l'accusa di traffico di stupefacenti. Sarebbe stato proprio lui, secondo le rivelazioni dell'altro «pentito» Marino Mannoia, a strangolare Roberto Calvi, trovato poi impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra. Anche Di Carlo ha ricevuto un avviso di garanzia. Al giudice De Leo, nel luglio scorso, Mannoia aveva raccontato di aver saputo, fra l'83 e l'85, da Ignazio Pullara (un altro affiliato a Cosa Nostra) che il banchiere «era stato strangolato da Franco Di Carlo». Alcuni anni dopo, il pentito ebbe un altro incontro in carcere con Pullara e Pietro Loiacono. Parlando del boss di Altofonte, ha aggiunto il pentito, «Pullara commentò che il Di Carlo si era messo sempre a disposizione, quando richiesto, citando il caso dello strangolamento di Calvi, "cosa che aveva tolto un grosso peso a Pippo Calò". A questo punto il Loiacono chiese incuriosito il motivo dell'omicidio. Pullara allora gli disse che Calvi si era impadronito di una grossa somma di denaro che apparteneva a Licio Gelli e a Calò». Il ruolo dell'ex Venerabile della Loggia P2 viene spiegato così da Mannoia: ((Avevo sentito dire da Stefano Bontade e da altri uomini d'onore della nostra famiglia, sempre prima della morte di Bontade, che Pippo Calò, Salvatore Riina, Francesco Madonia ed altri dello stesso gruppo avevano somme di denaro investite a Roma attraverso Licio Gelli. Si diceva anche che parte di questo denaro era nella banca del Vaticano». Questo ruolo di «mediatore» è stato sempre negato da Gelli. Sull'indagine del sostituto procuratore De Leo, tuttavia, pesa l'incognita del giudizio che deve pronunciare nei prossimi giorni il procuratore generale presso la Cassazione sul conflitto di competenza tra le procure di Roma e Milano. I magistrati milanesi infatti contestano che quelli romani possano indagare su una morte che, nel capoluogo lombardo, si apprestava ad essere archiviata come un caso di suicidio, o comunque come fatto ad opera di ignoti. A Roma, invece, De Leo ha aperto nel giugno scorso l'inchiesta proprio per il reato di omicidio dopo aver chiuso con tre richieste di rinvio a giudizio quella sulla ricettazio¬ ne della borsa dell'ex presidente del Banco Ambrosiano. «Noi non siamo insabbiatori replicano i magistrati romani ai colleghi milanesi che li accusano di voler mettere le mani sul caso dell'Ambrosiano -. Crediamo solo che in base al nuovo codice di procedura penale sia Roma la sede competente ad occuparsi di questa vicenda». Suicidio o omicidio? A parte la ricerca degli eventuali colpevoli, l'alternativa ha anche un alto valore economico: se il banchiere fosse stato ucciso, infatti, i suoi familiari avrebbero diritto ad incassare circa 10 milioni di dollari, il valore attuale dell'assicurazione che Calvi aveva messo sulla propria vita. Giovanni Bianconi Francesco La Licata «L'ordine di strangolare il banchiere di Dio fu dato da Cosa Nostra al boss Di Carlo» «Si era impadronito di una grossa somma che apparteneva all'ex venerabile della P2» Il ponte di Londra (foto grande) dove fu trovato Calvi. A sinistra Buscetta e sotto Pippo Calò