La rabbia della gente Noi in balìa del Palazzo! di Ugo Bertone

La rabbia della gente Noi in balìa del Palazzo! LE RADICI DELLA CRISI La rabbia della gente Noi in balìa del Palazzo! EW IVREA " giusto o non è giusto inchinarsi alle richieste di Roma? Ivrea deve accettare le leggi del- Palazzo, anzi attendersi aiuti e buona pubblicità dalla capitale? Di questo, quasi solo di questo si discute in questi giorni nei salotti e nei caffè della capitale del Canavese. Ma attenzione. Non si parla di Olivetti, di sistema Paese, di piano nazionale dell'informatica per la pubblica amministrazione. La pietra dello scandalo è Pippo Baudo. Dopodomani, in piazza Ottinetti, ci sarà una sorta di finto carnevale, con tanto di arancieri, reti di protezione e la cittadinanza chiamata a far la clacque. La ragione? Un collegamento con «Domenica In» accolto con entusiasmo dal sindaco, Roberto Fogu, rifiutato (in un primo momento) dalla confraternita degli arancieri. Ma i politici non hanno inteso ragioni: per Baudo le tradizioni possono venir violate, ci mancherebbe. Anzi, lo stesso Fogu, socialista (pensionato Olivetti, dopo 35 anni passati in magazzino) farà domenica la parte del lanciatore. E già si annunciano ricorsi giudiziari, sempre sul Carnevale, perché almeno quello, dicono in città, è rimasto una «cosa seria». No, non è una carnevalata quella che si recita nei saloni di corso Nigra, all'associazione industriale del Canavese. Tra sindacati e Olivetti si recita qualcosa di più di una semplice trattativa sindacale: in ballo ci sono licenziamenti, posti di lavoro, le prospettive e il tenore di vita di tante famiglie di aree ricche che tornano a fare i conti con problemi ormai dimenticati da tempo. E sullo sfondo c'è un quadro nazionale difficile. Inutile nasconderlo, la «vernice» di Ivrea ha assunto il sapore di un'anteprima per una stagione sindacale calda, per scelte di politica industriale finora rinviate e che si ripropongono più urgenti che mai alla vigilia della campagna elettorale. Eppure, nel rituale di questo confronto, qualcosa ricorda la lite sul carnevale in tv. Anche qui si tratta, ma si bussa soprattutto alla porta dell'interlocutore politico, del palazzo romano. E' da lì che si attendono le risposte vere per il prassi- mo futuro della cittadella dell'informatica italiana: gli ammortizzatori sociali, da soli, non bastano, è l'ora di fare una politica industriale. Spiega Roberto Di Maulo, segretario nazionale della Uilm, che «errori l'azienda ne ha fatti, ma diciamo che hanno inciso per il 10%. Il resto è una crisi brutale, che ha investito tutti. Ma gli altri fanno una politica nazionale del software». L'azienda dedica un intero capitolo del piano illustrato ai sindacati per illustrare le strategie dei «Sistemi-Stato», ovvero l'esperienza di quei Paesi, tipo Germania o Francia, ove la domanda pubblica e il sostegno finanziario da parte dello Stato, giocano la parte del leone nelle prospettive di Bull e Siemens Nixdorf. Anche in Giappone e in Usa lo Stato non scherza, anzi la competizione mondiale tra i sistemi-Paese vede prevalere proprio i due colossi. E l'Italia? «Non è un sistema Stato - si legge a lettere cubitali a pagina 64 del piano - non fa politica di sistema, non ha infrastrutture adeguate e non ha una politica per l'informatica. Questo costituisce un grave handicap per l'industria informatica nazionale e per il Paese». I sindacati assentono e partecipano ma qualcosa si è rotto, o almeno si è incrinato, nel tradizionale rapporto di fiducia tra le confederazioni e i vertici di Ivrea: troppi scossoni, troppi cambiamenti al vertice, troppe novità (tutte negative) a getto continuo. «L'Olivetti ha sbagliato, eccome spiega Luciano Scalia della Firn -. Basti pensare ai lap top portatili. Li hanno annunciati nella primavera del '91 e non sono ancora in commercio. E' stata nefasta l'idea di far progettare e produrre i portatili in Germania». E anche Enrico Ceccotti della Fiom, più posato e meno battagliero con la squadra Olivetti: «E' cambiata troppe volte, troppi dirigenti da Tato a Levi, da Musuméci allo stesso Cassoni hanno abbandonato la scena o comunque sono stati ridimensionati». E il sindacato non perdona le ristrutturazioni aziendali, quella creazione di divisioni che hanno finito per farsi concorrenza tra loro («con risultati ridicoli» commenta Scalia) prima del gran ribaltone di ottobre, con i pieni poteri a De Benedetti. Questi cambiamenti, spiegano i vertici del sindacato, dimostrano che il gruppo si era dato una struttura buona per affrontare un mercato in grande espansione. La crisi li ha colti in contropiede. «Non dimentichiamo però frena Di Maulo - che un banchiere americano dice che era più facile prevedere la caduta del muro di Berlino che il crollo dei titoli Ibm». Comprensione per il gruppo Olivetti, insomma, ce n'è sempre. Ma con qualche riserva, almeno mentale. La sintonia dei tempi buoni è cosa di ieri. Il colosso del chip si dimostra comprensivo, aperto ma più rigido che in passato. E questo inquieta i sindacati: se la linea dura, quella dei licenziamenti passa qui, chissà nelle altre situazioni di crisi... Meglio esser cauti anche perché la direzione aziendale sembra più decisa che mai. «Volete una prova di forza? Provateci..». Questa battuta della delegazione Olivetti filtra dalle sale della trattativa nel pomeriggio, prima della chiusura temporanea degli incontri. Occorre far presto, De Benedetti vuol chiudere entro il 25. «Ma non siamo qui - sibila un sindacalista - a far le trattative con il contatore. Almeno qui il cottimo non vale ancora». Eppure, tutti hanno voglia di far presto, qui a Ivrea. Chiudete prima del Carnevale, quello vero di febbraio. La battaglia delle arance resta una cosa seria. Ugo Bertone