QUEL FASCIO DI CARTA di Oreste Del Buono

QUEL FASCIO DI CARTA QUEL FASCIO DI CARTA Un'antologia dedicata ai best-seller del Ventennio Ibest-seller del Ventennio», ovvero «Il regime e il libro di massa» a cura di Gigliola De Donato e Vanna Gazzola Stacchini (Editori Riuniti, pp. 729, L. 90.000) è una bellissima idea e bisogna esser grati alle curatrici e a chi le ha aiutate nella fatica di ordinare una materia tanto eterogenea, Tina Achilli, Silvana Ghiazza e Maria Pagliara, per avere tentato di aprire una finestra sull'immaginario collettivo del nostro passato. Però, occorre dirlo subito, l'apertura è solo parziale, l'angustia dello spiraglio è molto, forse troppo influente sulle conclusioni. Ma occorre anche precisare che questa parzialità non può essere imputata a qualche errore di esecuzione, a qualche distrazione di percorso. No, la parzialità deriva da una scelta più che deliberata, anche se non abbastanza giustificata nelle premesse: «I romanzi della "Medusa", gli "Omnibus" della Mondadori, la migliore narrativa di Bompiani, di Rizzoli, di Frassinelli, di Dall'Oglio, di Einaudi e prima ancora di più piccole ma intrepide case editrici, fanno sentire le voci di scrittori stranieri che parlano un altro linguaggio, che entrano nelle case come frutti proibiti: sono "i libri di cui si parla, che si portano agli amici, si prendono in prestito nelle biblioteche" che aprono finalmente una breccia nel mastodontico edificio della cultura autarchica...» scrive Gigliola De Donato nell'introduzione, parlando in una incrinatura degli Anni Trenta nella narrativa di consumo del tempo fascista, per sostenere che sarà proprio il romanzo americano a far rinascere la cultura della narrativa, ma per concludere sconcertantemente: «Ma da questa antologia abbiamo intenzionalmente lasciato fuori, con un taglio netto, questa narrativa straniera: e non perché straniera (il genere rosa ne include alcuni), ma perché avrebbe reso indecisa la linea della nostra ricerca che vuole essere mirata al rapporto solidale e omogeneo che si era stabilito tra il fascismo e una certa letteratura di successo...». Il che sta pressappoco a significare che chi va d'accordo con me c'entra, chi non va d'accordo con me resta fuori, perché rischierebbe di complicarmi l'indagine. Non è proprio il massimo per una vera ricerca. Tanto più che questo drastico taglio concerne dichiaratamente l'influenza della letteratura americana negli Anni Trenta, evidentemente rientranti nel Ventennio fascista preso in considerazione. Ma un uguale drastico taglio le curatrici di «I best-seller del Ventennio» applicano ai danni della letteratura straniera introdotta in Italia negli Anni Venti da case editrici come la Stock, la Sperling & Kupfer, la Nuova Italia, la Treves, la Corbaccio, susseguite nell'operazione alle case editrici popolari Sonzogno, Bietti, Barion, Salani, Cappelli e così via. La prevalenza allora non era americana, ma francese, inglese, russa e ungherese. A esempio, la narrativa ungherese ha avuto una grande influenza sulla personalità di molti personaggi cresciuti nel Ventennio. Come si potrebbe immaginare un Enzo Biagi senza il Ferenc Molnàr di «I ragazzi della via Paal» o senza il Ferenc Kòrmendi di «Un'avventura a Budapest»? Ma lasciamo perdere le cose che mancano in «I best-seller del Ventennio» (anche se si tratta di lacune madornali) e prendiamo in considerazione, invece, le cose che ci sono e che sono molte e istruttive. L'introduzione di Gigliola De Donato è più che chiara nell'approccio al mondo del libro di massa che ha voluto circoscrivere, ridurre alla propria tesi: «Ciò che colpisce il lettore di queste pagine sarà appunto l'aria che vi circola, quel colore d'epoca, quel tono inconfondibile che evoca subito una mentalità diffusa, i pregiudizi e le suggestioni della gente: questo quanto alla prima impressione. Ma subito dopo è spinto al giudizio, all'analisi, alla decodifica del testo; e vien fuori quel carattere strumentale, di propaganda diretta o indiretta, quella torsione pragmatica delle parole che diventano fatti, che si autonomizzano dal significato perché è il significante in sé che diventa "valore"; vien fuori il nucleo duro della pressione ideologica, ora più rozza e autoritaria, ora più occulta e scaltra, fatta di contenuti e di preposizioni vuote, elusive, indeterminate...». Coerentemente a queste convinzioni la «merce ideologica» è antologizzata e analizzata in «I best-seller del Ventennio» in quattro settori: «Le maschere dell'eros» a cura di Tina Achilli con un'introduzione sul romanzo trasgressivo e testi di Luciano Zuccoli, Pitigrilli, Guido da Verona e Mario Mariani; «Così donna mi piaci» a cura di Silvana Ghiazza, introduzione sulla letteratura rosa negli Anni VentiQuaranta e testi di Delly, Baronessa Orczy, Anna Vertua Gentile, Flavia Steno, Camilla Del Soldato, Maddalena Santoro, Mura, Carola Prosperi, Liala, Milly Dandolo, Ornella Quercia Tanzanella e Lina Pietravalle; «Il Capo infallibile» a cura di Maria Pagliara, introduzione sulle biografie del Duce, con testi di Antonio Beltramelli, Paolo Orano, Margherita Sarfatti, Emilio Settimelli, Giorgio Pini, Yvon de Begnac; «Faccetta nera», a cura di Maria Pagliara, introduzione sul romanzo coloniale, con testi di Arnaldo Cipolla, Guido Milanesi, Vittorio Tedesco Zammarano, Mario de Gaslini, Mario Appelius e Gino Mitrano Sani; infine, «Mille eroi da leggenda», a cura di Vanna Gazzola Stacchini, introduzione sui romanzi di propaganda fascista, con testi di Mario Carli, Guido Milanesi, Ugo Ojetti, Daisy di Carpenetto, Antonio Beltramelli, Vitaliano Brancati, Antonio Fergrano, Mario Massa, Marcello Gallian e Felice Carosi. E' una scelta del genere che consente a Gigliola De Donato di concludere la sua introduzione come l'aveva cominciata: «Tra questa narrativa di consumo e la letteratura cosiddetta colta c'è spesso consanguineità di temi e di intenti anche se c'è, poi, a ridistinguerle, una qualità, direi strutturale e immaginaria, che sono diverse come succede a volte tra figli della stessa madre. Certo è dunque che se le pressioni e il martellamento del regime attraverso i suoi intellettuali e i suoi funzionari, non riuscirono a produrre un' "arte fascista",non mancarono però di influire sul gusto, o quanto meno di assecondare gli orientamenti ideali degli scrittori. Direi che proprio quelli più sensibili al successo editoriale, o più facili alla suggestione di certa propaganda, o comunque più pronti a capire ciò che richiedeva o suggeriva la cultura ufficiale, erano anche i più corrivi a certa moda, e duttilmente adattavano la scrittura dei propri romanzi, con l'occhio sempre attento agli echi del pubblico, ottenendone in certa buona parte e fino a un certo punto, popolarità e successo...». A ogni modo, dato che il sottotitolo de «I best-seller del Ventennio» recita «Il regime e il li- bro di massa», conviene, forse, ricordare due romanzi qui non citati, che si erano avviati come best-seller del Ventennio, ma che dal regime furono osteggiati a successo dirompente: «Gli indifferenti» di Alberto Moravia (1929) e «Nessuno torna indietro» di Alba de Cespedes (1938). La letteratura cosiddetta colta e la narrativa di consumo eran molto più mescolate allora di quanto si creda. Per questo mi rammarico che nella sezione «Così donna mi piaci» siano comprese solo autrici (a parte Delly, che non era solo Marie Petitjean ma anche suo fratello minore Frédéric) e siano esclusi gli autori. Non vi avrebbero certo sfigurato l'Accademico d'Italia Lucio d'Ambra che scriveva romanzi a puntate sui giornali femminili, ma che in un elzeviro sul «Corriere della Sera» fu il primo a segnalare qui da noi l'importanza di Marcel Proust e neppure l'italoucraino Vladimir Scerbanenko, meglio noto come Giorgio Scerbanenco o come Adrian o come Valentino, la più grande macchina per scrivere romanzi che riempì «Novella» e altri rotocalchi, ma è morto come un asso internazionale della narrativa gialla o nera. Oreste del Buono Faccette nere e avventure rosa: così il consenso entrava in biblioteca

Luoghi citati: Budapest, Italia, Verona