Sette milioni per un jeans d'antiquariato di Enrico Benedetto
Sette milioni per un jeans d'antiquariato Una moda importata dal Giappone, i più richiesti sono calzoni e giubbotti degli Anni Trenta Sette milioni per un jeans d'antiquariato A Parigi assalto alla boutique dei Levi's che hanno fatto epoca PARIGI DAL NÒSTRO CORRISPONDENTE Un giubbotto Levi's a 7 milioni, jeans da 350 mila lire l'uno, blouson puro cotone sui 3.500.000. Non sono quotazioni di Sotheby's, ma i prezzi al pubblico che Chevignon - jeansaro, ma sopra lutto guru per l'abbigliamento giovanile francese propone nella sua boutique in pieno Marais. Da qualche giorno, infatti, il negozio ospita una boutique «Antic Clothings» per venire incontro alla crescente richiesta di jeanseria antiquaria. Ovvero indossare per vezzo modelli Levi's autentici ma datali - poniamo 1935, tali da far impallidire, nel listino, financo Chanel. Se per strada - in Francia come a Roma - ti rapinano le Timberland, il montone o la mountain bike, bisognerebbe chiedersi a quali disavventure vada incontro il titolare di calzoni grezzi, senza pie¬ ga e garbo ma 1950 doc, dunque milionari. La prospettiva non spaventa i giovani parigini altoborghesi o, più spesso, con una famiglia parvenu dietro. E infatti la moda, se non dilagante, comincia ad affermarsi. Pare un fenomeno d'importazione americana, invece - affermano gli specialisti - sarebbe quasi esclusivamente giapponese. Anche se George Bush sviene e vomita disdicevolmente in tavola coinè un ragazzino, per i nipponici il mito Usa restano i grezzi cow-boy, con o senza Marlboro. E dunque risalire magicaj mente la storia - complice un portafogli ben fornito - fino a indossarne i veri panni li entusiasma. Di qui l'esoso prezzario. A Tokyo addirittura - c'informa il settimanale «Vsd» - i vecchissimi jeans «503» spuntano 4 milioni e 500 mila. Forse perché il loro taglio stretto non penalizza la minuta fisionomia orientale. Pur senza raggiungere tali apici, Parigi offre costi mozzafiato. E Chevignon, prudente, ha messo i pezzi da collezionista sotto chiave. Orizzontarsi in questo bizzarro modernariato è arduo. Vista la facile imitabilità dei capi, i bidoni abbondano. Magari si può rivendere per autentico l'«01d Style» - vecchia linea, fattura nuova - che diffonde qualche casa americana. Ma lo specialista, quello, non si sbaglia. Primo indicatore: guardare il marchio cercando la «Big E». Perché i LEVI'S l'hanno persa nel 1971 divenendo LeVl'S. Trovarla è una prima garanzia. Secondo: occhio ai ribattini. La loro capocchia sigillò in alto le tasche posteriori dei primi jeans. Ma poi i veri cow-boy si lagnarono che questi chiodini rovesciati finivano per rigare la sella. E l'azienda li tolse. Etichetta in cuoio alla cintura, martingala, bottoni a conca sono altri elementi-chiaI ve per l'archeologia jeansara. Anche la doppia «X» che segue il numero del modello ha un suo ruolo: tendenzialmente attesta che l'esemplare proviene da un bagno indaco, più grigio che violetto. Mai sottovalutare il filo, infine. I giubbotti Anni Cinquanta «557 XX big E», per esempio, sono affidabili unicamente qualora sia giallo. Il business è favoloso. Hanno cominciato i mercatini delle pulci a Saint-Ouen, nella banlieue Nord, poi qualche importatore, adesso arriva un grande stilista. Effimero o meno in Francia il fenomeno ha comunque una sua rilevanza sociale, come sempre quando c'è di mezzo Chevignon. Fece scandalo, qualche mese fa, lanciando una sigaretta di monopolio con la sua griffe, poi ritirata. I jeans d'epoca potranno invece proliferare tranquillamente. La salute non c'entra: bastano tanti soldi. Enrico Benedetto
Persone citate: Antic, George Bush, Marais, Style
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