Bruxelles tenta un'altra intesa di Fabio Galvano

Bruxelles tenta un'altra intesa Bruxelles tenta un'altra intesa Nuovo via alla Conferenza Cee, Carrington ottimista BRUXELLES DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La morte dei cinque osservatori della Cee non ha inciso sulla ricerca comunitaria di una soluzione alla crisi jugoslava. Riavviata ieri dopo una sospensione di due mesi, la Conferenza di pace presieduta da Lord Carrington ha dato inattesi segnali di speranza. I sei presidenti delle repubbliche slave si parlano di nuovo; ed è già molto, anche se mancano concreti risultati. Carrington stesso riconosce che «le cose si muovono» e persino il presidente serbo Milosevic, pur accusando la Cee di essere «parziale», ammette che «le speranze di pace aumentano». Paradossalmente coincide con l'aggressione ai due elicotteri italiani la tregua - concordata il 2 gennaio dall'inviato dell'Onu Cyrus Vance, quindicesima della serie che dà incoraggianti segni di tenuta. Forse questa è la volta buona. «Il dialogo con il presidente serbo è stato più costrutti¬ vo che in passato», ha detto Carrington. L'incidente di martedì ha gettato pesanti ombre sull'incontro di Bruxelles, ma non l'ha condizionato. «Non ha reso le cose più difficili», secondo Lord Carrington: «E' stato esplicito il desiderio dei sei presidenti di esprimere il loro cordoglio». Tutti, ad uno ad uno, hanno espresso la loro disapprovazione. Il serbo Milosevic si è apertamente scusato. Il croato Tudjman («un atto barbarico») ne ha approfittato per accusare i «falchi» serbi di «essere venuti allo scoperto, senza fermarsi davanti al crimine che si è visto». E anche lo sloveno Kucan ne ha fatto motivo di polemica con Belgrado: «Sono addolorato - ha detto - per il crimine commesso dall'ex esercito jugoslavo, che ha cercato in questo modo di evitare una soluzione pacifica della crisi». E' una parentesi che lo stesso Carrington ha voluto chiudere rapidamente. «Sono state chieste garanzie per gli osservatori - ha detto - e non ho alcun dubbio che essi potranno continuare nella loro azione». Anche di questo egli riferirà oggi ai ministri degli Esteri dei Dodici, che affronteranno il dossier jugoslavo. Ma che cosa si è sbloccato? Forse l'ammissione della Serbia, decisa a conservare il massimo della vecchia Jugoslavia, che le cose sono davvero cambiate; che fra pochi giorni, il 15 gennaio, il riconoscimento Cee per le quattro repubbliche che vogliono l'indipendenza darà un nuovo volto alla carta dei Balcani. «La Jugoslavia non è finita ha detto il ministro degli Esteri serbo Jovanovic - perché almeno metà della popolazione vuole restare jugoslava». Ma il presidente Milosevic ha accettato di considerare il piano Cee come base di discussione: la protezione delle minoranze serbe in Croazia - ha confermato Carrington - «sarebbe una soluzione accettabile». Belgrado non insiste più - era stato questo il punto di rottura - sulla creazione, da quelle minoranze, di altrettante nazioni. Ecco allora che la settimana prossima i tre gruppi di lavoro (istituzioni, economia, diritti umani) riprenderanno il lavoro. «Decideremo poi come procedere», indica Carrington: la data per la prossima seduta plenaria non è ancora fissata. «E' assolutamente chiaro - aggiunge - che i sei presidenti vogliono tutti la continuazione della Conferenza, che anzi con l'eventuale arrivo della forza di pace dell'Onu in Jugoslavia ci saranno nuove pressioni per un risultato negoziale il più presto possibile». La Serbia non ha nascosto, ieri, il desiderio che il coinvolgimento dell'Onu possa gradualmente sostituire quello della Cee («Conferenza a New York», ha detto Milosevic). Ma anche se presto raggiungeranno la Jugoslavia i 50 nuovi osservatori dell'Onu, afferma Carrington, «la Conferenza resta nelle mani della Cee». Fabio Galvano