Come una piccola Dallas L'angoscia in diretta-tv di Furio Colombo

Come una piccola Dallas L'angoscia in diretta-tv Come una piccola Dallas L'angoscia in diretta-tv AMERICANO GNEW YORK EORGE Bush si è sentito male di fronte alle telecamere. Giaceva disteso, e intorno al suo lungo corpo tanti giapponesi si muovevano in fretta, apparentemente, senza uno scopo. Andavano vicini, guardavano in basso, guardavano verso le telecamere, tornavano indietro. Anche gli uomini del servizio segreto americano sembravano disorientati. Hanno un training impeccabile per ogni evento, ma sono impreparati per un malore. Uno di loro, nero, robusto, con il classico gonfiore della pistola sotto la giacca, ha fatto, stranamente, lo stesso gesto del poliziotto di Jonn Kennedy il giorno dell'attentato. E' balzato in ginocchio sul tavolo e di lì si e buttato dall'altra parte, verso il suo Presidente. Passavano i minuti e il Capo degli Stati Uniti restava disteso sul pavimento di una casa giapponese, in attesa. Sapremo più tardi se questa attesa era dovuta alla confusione, al consiglio del medico o al fatto che nessuno sapeva qual era la cosa giusta da fare. Ma alcuni minuti sono un'eternità, in televisione. Dunque George Bush, presidente della Superpotenza mondiale, candidato a guidare quella superpotenza per i prossimi quattro anni, è stato il protagonista di uno straordinario «happening» che ha tenuto l'attenzione del mondo abbastanza a lungo per fissarsi nelle retine e nella memoria. Un «incidente» che fa riflettere E' giusto dire che «non è sta to altro che un lieve inciden te». E' bene ricordare che il Presidente adesso sta bene. Ma tutto questo non tocca l'immagine con cui si è aperto il collegamento della Cnn col mondo: George Bush disteso sul pavimento, circondato da Siapponesi che lo guardano, a americani che non sanno che cosa fare. George Bush che «cede» fisicamente in un punto della sua campagna per «tenere l'America in testa», come aveva detto alla sua partenza da Washington. Se avesse senso seguire sol- tanto un sentiero di immagini, per capire in che mondo stiamo vivendo, potremmo ricordare che, come in una strana premonizione, il giorno prima c'era stato un improvviso «black out» a Washington, due ore senza luce nella capitale del mondo. Soltanto due ore. Ma hanno scritto, credo con fondamento, i commentatori che in quelle due ore la capitale è sembrata colta da uno sgomento strano, eccessivo. Prima di tutto la sfiducia: quanto durerà questo «black out»? Ognuno ricordava agli altri che queste cose possono essere lunghe e terribili, ricordava incendi e saccheggi, sussurrava che «questa volta sarà molto peggio». Non lo è stato. Dopo due ore è tornata la luce, i servizi essenziali, dal Dipartimento di Stato agli ospedali, non hanno subito interruzioni, non ci sono state conseguenze di ordine pubblico o di criminalità, solo qualcuno bloccato negli ascensori. Ma ecco ciò che deve giustamente attrarre la nostra attenzione. In questo Paese che ha vinto tutte «le mani» del Sioco del dopoguerra, il senso i sfiducia e di ansia non è mai stato così grande. La recessione è lunga, più ostinata del previsto, ma non è devastante. Eppure è sentita, e a volte descritta, come un male incurabile. O almeno uno di quei mali da cui si esce debilitati. Dimenticando che ogni recessione di questo dopoguerra l'America è sempre uscita un po' più forte, meglio organizzata, più moderna. E dotata di innovazioni che hanno poi facilitato lo sviluppo del mondo. Ma l'America, questa volta, è pessimista. Lavora duro, ma è persuasa che la vita in futuro sarà peggiore. Non si è vanificata la vecchia virtù puritana che induce ad accettare sacri¬ fici. Ma si è perduta la sicurezza di farcela. Figure inutili e incerte Forse perché sta durando più a lungo del previsto il passaggio dalla guerra alla pace, forse perché si sta rivelando difficile vivere senza un nemico. Gli economisti, a parte le periodiche tabelle di numeri, tacciono. E' un'epoca senza ipotesi, senza teorie sul futu ro, sul tipo di cambiamento e di sviluppo. Tacciono anche coloro che un tempo si davano il compito di leggere e inter pretare, a nome di tutti, gli eventi, cercando di formare una immagine del comportamento e una del mondo che sta per venire. Erano «gli intellet tuali». Si domandano se si debba aspettare o agire subito. E se si deve agire subito, per fare che cosa? Sul televisore, come il resto del mondo, vedo il lungo corpo del Presidente americano sdraiato sul pavimento di una stanza giapponese e mi accorgo che è impossibile sfuggire al significato simbolico cu questo evento che dovrebbe essere catalogato come «minore» e, fortunatamente, insignificante. Quelle figure che si muovono incerte e inutili mi ricordano «l'intelligenza strategica», i «think tanks» di scienziati e pensatori che prevedevano e anticipavano gesti minimi dell'Unione Sovietica, erano allenati a leggere e prevenire pensieri e mosse, avevano investito per quarant'anni intelligenza ed energia per tenere il mondo sotto controllo, rendere impossibile l'imprevisto, tagliare la strada, agire per pruni. Erano intelligenze dotate di rapidissime schede. In esse, per ogni evento, ad ogni convegno, scattava una lettura del mondo, con tutte le sue variabili. Una festa ma in silenzio Dove sono finiti, che mestiere fanno adesso? Come l'agente del servizio segreto, saltano inutilmente sul tavolo per vedere dall'altra parte, quello che tutti, con l'occhio della televisione, abbiamo già visto. E' in questo vuoto che il significato simbolico dell'immagine rischia di diventare più grande della realtà e di trasformarsi nella rappresentazione fisica del vero evento: il disorientamento. Diranno che il Presidente degli Stati Uniti è il capo indebolito dell'unica superpotenza, che è un candidato meno imbattibile. Lo diranno in parte perché influenzati da quella sequenza visiva. In parte a causa del silenzio, che domina - dopo la festa - il «dopo guerra fredda» americano. Ma ecco che il Presidente si riprende, si alza e parla. Tutto dipende da quello che avrà da dire. O lui o un altro. Altrimenti si allargherà il dominio emotivo delle immagini, che continuano a diffondere ansietà e attesa, con la complicità del fine millennio. Furio Colombo Fatale lo sforzo per la partita di tennis persa contro AkiHito E Barbara «Si è sentito male per la vergogna della sconfìtta»

Persone citate: Bush, George Bush, Kennedy

Luoghi citati: America, Dallas, Stati Uniti, Unione Sovietica, Washington