Marchi arguto e umanista di Cesare Marchi

Marchi, arguto e umanista Lo scrittore morto a 69 anni Marchi, arguto e umanista il AMABILE, discretissimo " scrittore e giornalista Cesare Marchi se ne è andai to all'improvviso, a 69 Uanni. L'ha trovato ieri mattina esanime nel suo letto il nipote Alberto, che da tempo viveva con lui nella casa di Villafranca, vicino a Verona. Nulla faceva prevedere la fine. Solo un lieve malessere nel pomeriggio, poi passato. Invece il cuore ha ceduto. Cesare Marchi aveva la pressione alta: doveva essere un monito per le sue intemperanze dietetiche. Gli piaceva indulgere un poco al buon cibo e al buon vino, esplorazioni che poi ha raccontato con successo in Quando siamo a tavola, del '90. Ma lui proprio non ci riusciva, a mettersi a dieta. Aveva fatto l'insegnante di lettere alle medie per 25 anni. Da sempre sognava di fare il giornalista: doveva andare al Corriere Lombardo con Angelo Magliano; poi a Oggi, dove lo volevano Radius, Sechi e Buttafava; poi alla Domenica del Corriere, chiamato da Zucconi e Nascimbeni. Nulla da fare: «Mi teneva inchiodato a Villafranca l'attaccamento alla mia terra diceva -, A Milano proprio non mi trovo. Sono uno che segue Montaigne ed Epicuro, uno che vuol vivere nascosto, in solitudine. Sono uno che cerca di vivere sereno. Da rassegnato pessimista, non mi pongo grandi ideali». La svolta alla sua vita la diede Indro Montanelli (Marchi collaborava da anni al Giornale con la rubrica «La bocca del leone»), «Sono uno dei suoi zoppicanti allievi», riconosceva. Si ispirava alla sua «verve» negli articoli sull'/lrerta. Lo conobbe nel '66, a Ve- Cesare Marchi rena: cenarono insieme ai Dodici Apostoli. «Litigammo subito sulla pasta e fagioli - raccontava Marchi -. Indro mise solo pepe e olio, mentre io, da buon padano, aggiunsi iniquamente il formaggio. Montanelli mi disse in seguito: lei mi ha fatto una pessima impressione, caro Marchi». Un giorno Montanelli gli chiese di scrivere delle biografìe, e lui scrisse Boccaccio, VAretino, Giovanni dalle Bande Nere, Dante. Cominciò così. Il successo gli arrivò con Impariamo l'italiano, nell'84. Disse Marchi: «Un riconoscimento tardivo. Mi dà un'emozione simile, penso, a quella che si prova a diventar padre in età avanzata. Posso dirlo, io che sono signorino, scapolo scientifico, meditato». Seguirono Siamo tutti latinisti, Grandi peccatori, grandi cattedrali, Quando eravamo povera gente e Non siamo più povera gente. Quasi tutti libri (editi da Rizzoli) che veleggiavano abbondantemente sopra le 100 mila copie. E' il caso anche dell'ultimo, Quando l'Italia ci fa arrabbiare. Nelle biografie, nei libri di divulgazione linguistica e di critica civile, Marchi portava sempre una nota ironica, divertita. Come nella sua seguitissima rubrica in tv, Conosciamo l'italiano?, su Raiuno prima del telegiornale, pochi minuti prima del telegiornale della sera. Quello era davvero Cesare Marchi: arguto e semplice. «Sono uno degli ultimi umanisti di provincia», diceva di sé. Fossero tutti come lui, ne vorremmo leggere ancora tanti. Claudio Atta rocca Cesare Marchi

Luoghi citati: Italia, Milano, Verona, Villafranca