«Se hai la colf sei di destra» di Pierluigi Battista

«Se hai la colf sei di destra» Valentino Parlato confessa di avere la domestica, rivolta fra i lettori del Manifesto «Se hai la colf sei di destra» Le lettere: scelta alienante, indegna di un marxista Critica anche L'Unità: torna l'idea del servo subordinato ROMA. Sei di sinistra e vuoi l'eguaglianza? E allora sii coerente fino in fondo: lavatela da solo la camicia che hai inzaccherato, puliscile tu le stoviglie su cui hai mangiato, lavoraci tu di ramazza per spazzare il pavimento di casa tua. Non c'è pace per Valentino Parlato da quando sulla sua rubrica domenicale del Manifesto ha confessato di avvalersi «di alcune ore settimanali di aiuto domestico». Lettere di protesta, sarcasmi, accuse feroci: per tre settimane consecutive l'indignazione degli esigenti lettori del giornale si è abbattuta come una valanga sul capo di uno dei leader storici del Manifesto. E ieri si è aggiunta persino l'Unità, che ha arricchito la disputa con un quesito ulteriore: non sarà che avvalersi dei servizi di una colf riveli nel «padrone» di turno un animo irrimediabilmente «di destra»? La febbre del «politicamente corretto» dilaga anche in Italia. Ma se negli Stati Uniti si reclama la purificazione di tutte quelle espressioni verbali che sinora hanno sancito il dominio nella sfera linguistica del maschio-borghese-di pelle biancaeterosessuale, in Italia, terra di familismo e di culto del focolare domestico, la discussione tende ad imperniarsi sulla cristallina coerenza da instaurare tra pubbliche virtù e comportamenti privati. E allora, come ha scritto un lettore, è lecito «salariare un proprio simile por farsi sostituire nei propri lavori intimi e personali»? Il dibattito, infarcito di citazioni tratte da Marx, Tolstoj e Adam Smith, prende la questione da tutti i lati. Ecco la risposta vagamente ascetica di una lettrice di Segratc: è meglio «uno stile di vita che si assuma i suoi carichi e le sue responsabilità». Quella ideologizzata del lettore romano: «se io vado in biblioteca mentre qualcuno mi pulisce il cesso, mi alieno io e la serva o il servo che lavora per me. Siamo tutti e due unilaterali senza rapporto». Quella savonaroliana del lettore di Padova: «la camicia l'hai sporcata o no? Però la fai lavare e stirare a qualcun altro». Qualche anno fa sembrava bastasse ribattezzare «colf» la collaboratrice domestica un tempo definita «donna di servizio», «cameriera» o addirittura «serva» o «sguattera» per cancellare l'alone di degradazione che quei termini recavano in sé. Le lettere al Manifesto dimostrano che non è stato sufficiente. E tuttavia Parlato si difende come un leone. «Sento puzza di filisteismo», scrive a un certo punto. Si arrabbia: «il lavoro di pulizia del citatissimo cesso lo faccio da me perché questo mi è stato insegnato dalla mamma non appena ho smesso di fare la popò nel va¬ setto. Il marxismo non c'entra niente». Ma non finisce qui. Non si dimentica forse che «rigovernare e sprimacciare i cuscini e spazzare il pavimento e spolverare e, insomma, mettere ordine al 'privato' attiene a un sesso, quello femminile»? L'intervento sull'Unità di Letizia Paolozzi riapre la questione. Certo, aggiunge con ironia, «basterebbe, per Fintanto, essere in regola con i contributi Inps». Già, non sarà che l'uso sempre più frequente e sottopagato di extra- comunitarie - filippine, eritree, magli rebine - non rimetta in circolo un'idea che sembrava seppellita di subordinazione totale della «serva» al «padrone»? Non significa niente, in termini sociali, il ritorno di domestiche tuttofare, tate e accompagnatrici, stiratrici e lavandaie e magari cuoche di succulenti pranzetti esotici? «A casa mia viene una donna due volte a settimana», risponde la scrittrice e femminista Dacia Maraini, «ma anche se ne avessi le possibilità finanziarie mi rifiuterei di assumere una persona a tempo pieno». E perché? «Perché la collaborazione deve essere considerata un lavoro, non una forma di identificazione totale con la casa e la famiglia. Una prestazione professionale non più degradante di tante altre, circoscritta nel tempo e retribuita decentemente. Certo che mi piacerebbe che le cose stessero diversamente. Ma se non ho il tempo di stirare le mie camicie, ho tutto il diritto di affidarmi all'aiuto domestico». Ruggero Guarini, giornalista e scrittore che si avvale della collaborazione di un domestico filippino, trova esilarante che ci si possa accalorare per una discussione di questo tipo. E risponde così: «Servire una famiglia è meglio che servire un ente astratto, stirare e sbattere i tappeti è meglio che avere a che fare con un tornio o appassire dietro a uno sportello». Non tutti la pensano così, però. «E allora», ribatte Guarini, «dedico a chi non è d'accordo il celebre motto di Robert Walser: 'non c'è più nessuno degno di essere servito'». E del resto, conclude Guarini evocando le Confessio ni di Jean-Jacques Rousseau, «Di che stupirsi? La modernità non nasce forse dal risentimento di un cameriere che si vergognava di esserlo?». Pierluigi Battista Lo scrittore Guarirli ha il maggiordomo «Il ferro da stiro meglio del tornio» Valentino Parlato e Dacia Maraini si avvalgono di una domestica per i lavori casalinghi

Luoghi citati: Italia, Padova, Roma, Stati Uniti