Morto a Torino Tino Neirotti di Tino Neirotti

Morto a Torino Tino Neirotti Vicedirettore del «Corriere» Morto a Torino Tino Neirotti TINO Neirotti è morto la notte scorsa all'ospedale delle Molinette di Torino. Era stato con noi per trent'anni. La sua scomparsa segue di un mese quella di Piero Martinotti. Due dei migliori giornalisti della vecchia guardia de «La Stampa», entrambi arrivati alla vicedirezione. Una sorta di destino sembra avere legato la loro storia professionale e umana. Aveva sessantotto anni Neirotti, torinese, era entrato a «Stampa Sera» nel 1947 dopo due anni come cronista al «Popolo» e al «Giornale di Torino». Passò a «La Stampa» nel '54, capo dei servizi interni. Allora, chiusa all'una di notte l'ultima edizione, non tutti andavano a casa. Due redattori e due cronisti restavano di guardia per le «notizie dell'ultima ora». Uno dei redattori era Neirotti e passava parte di quelle lunghe ore a studiare inglese. Si chiacchierava anche un po' e veniva fuori l'uomo di buone letture, socievole, solido e amabile. Ci si lasciava andare alle confidenze e lui raccontava dei figli (ragazzini, adesso Claudio è dirigente bancario, Marco cronista de «La Stampa»). Era molto attaccato alla famiglia ma con gli orari di allora stava più al giornale che a casa, e questa era la cosa che gli spiaceva di più. In quel tempo il governo sovietico invitò giornalisti dei maggiori quotidiani italiani e, sorprendentemente, il direttore De Benedetti, invece di incaricare un inviato e un redattore degli «esteri», mandò Neirotti. Di ritorno dal misterioso «pianeta Urss» fu l'unico a non scrivere articoli soltanto politici. Da vecchio cronista aveva raccolto dati su salari e stipendi, sugli affitti, il prezzo delle patate e di una gonna, di tutto quello che era esposto nelle vetrine. Raccontò come a Mosca viveva la gente comune e i suoi articoli furono i più interessanti, ripresi da altri giornali. Sarebbe stato un buon inviato, ma nel '65 il caporedattore Martinotti fu promosso vicedirettore e De Benedetti ritenne che Neirotti fosse l'uomo giusto a capo della redazione, ed ebbe ragione. «Neiro» lo chiamavano i colleghi e anche i tipografi. Era un uomo di grande decisione e di buone maniere, ben disposto con tutti e da tutti benvoluto. Adesso sento redattori che hanno lavorato con lui dire: «Mi voleva bene, mi chiamava vecchio mio». Chiamava «vecchio mio» un po' tutti, che era un modo di far sentire la sua amicizia, o simpatia. Sapeva riconoscere e apprezzare un buon lavoro, capitava che a distanza di mesi ti ricordava un tuo pezzo che gli era piaciuto. Alla fine del '72 andò alla guida di «Stampa Sera» e due anni dopo prese la vicedirezione de «La Stampa», vacante per il volontario pensionamento di Martinotti. Lasciò il giornale nel '77 per andare a dirigere «Il Resto del Carlino» di Bologna. «Porterà con sé nel suo nuovo lavoro "una certa idea" del giornalismo, come essa si è formata qui, in questo giornale, in questa città», scrisse nell'articolo di saluto il direttore Arrigo Levi. «L'idea del giornalismo come servizio; l'idea del rispetto per la notizia, piaccia o non piaccia; l'idea che si ha il dovere-diritto di esprimere, al meglio delle proprie capacità e conoscenze, giudizi chiari e responsabili su fatti, cose, persone». Con queste idee, e con il suo severo e brillante impegno professionale, ha diretto il «Carlino» negli anni del terrorismo, poi «La Nazione» di Firenze. Infine, a Milano, vicedirettore del «Corriere della Sera». Senza mai mettere su casa. Le sue radici erano a Torino e qui, a casa sua, tornava ogni fine settir..ana, da Bologna o da Firenze o da Milano, con qualunque tempo. Era un sentimentale. Veniva all'annuale Festa degli anziani de «La Stampa» come per una rimpatriata, stringeva mani, abbracciava vecchi colleghi e tipografi che lo chiamavano Neiro e gli davano del tu, era felicissimo, pareva ringiovanito. Vogliamo ricordarlo così e salutarlo come gli sarebbe piaciuto: «Ciao, vecchio mio, ti abbiamo voluto bene». Luciano Curino Tino Neirotti aveva 68 anni e per trenta aveva lavorato alla «Stampa»