«Reato? No, gesto volgare» di Sabino Acquaviva

«Reato? No, gesto volgare» «Reato? No, gesto volgare» Rispondono: Fo, Cacciari, Rea, Bartali ROMA. Che cos'è la bestemmia oggi? «Un fatto di costume, un intercalare qualsiasi», secondo il sociologo Sabino Acquaviva. «E' un fenomeno paragonabile alle tante parolacce di cui quotidianamante si sente far uso smodato e gratuito», sostiene. Per Domenico Rea, scrittore, «si tratta semplicemente di una manifestazione di inciviltà, di un atto volgare e insopportabile, che fa assomigliare l'uomo alla bestia». Camilla Cederna, scrittrice e giornalista, è d'accordo: «La bestemmia è soprattutto un segno di grande maleducazione». Gino Bartali, indimenticato campione del pedale, sostiene la tesi dell'inconsapevolezza: «Molti imprecano per abitudine o per ignoranza, senza rendersi conto di quello che fanno o di quello che dicono». Per Fulvio Tomizza, scrittore, il più delle volte la bestemmia «è uno sfogo, un atto irrazionale, che non onora chi ne è preda e che suona come mancanza di rispetto nei confronti di chi ascolta». Gli vengono in mente i contadini veneti e friulani: «Una parola e un riferimento al nome di Dio». In Toscana, altra terra di «gran moccolatori», un vecchio detto ammonisce: «Bestemmiano solo i bambini dai 9 ai 99 anni». Per dire che si tratta più spesso di puri suoni, non di autentica rabbia. Tomizza fa, comunque, un distinguo: «Là dove la bestemmia è un'abitudine, un ritornello nel parlare d'ogni giorno, posso anche sopportarla, ma la respingo decisamente se diventa sfregio, violenza, intimidazione». Come reagisce di fronte alla bestemmia? «Cerco di non frequentare gente che bestemmia». Lo stesso atteggiamento di Rea: «Non è soltanto un problema etico», sottolinea lo scrittore napoletano. Anche secondo Massimo Cacciari, filosofo, «siamo di fronte a un volgare modo di esprimersi». Fastidioso soprattutto dal punto di vista estetico. Se, però, la bestemmia «diventa un cosciente motto di ribellione, un'affermazione del proprio io in posizione negativa nei confronti del trascendente», allora si trasforma «in una dimostrazione di debolezza, in un atteggiamento di infantilismo psicologico, come tutte le affermazioni puramente polemiche». Dario Fo va decisamente contro corrente, definisce la bestemmia un'autentica professione di fede: «Solamente chi crede può scagliarsi contro il suo dio». E ricorda la provocazione di un grande poeta francese secondo il quale «l'imprecazione fa parte dello slancio del credente». E' Giobbe che vede in Dio l'interlocutore con cui azzuffarsi per poi fare la pace. E' un po' la tesi sostenuta in un convegno di pochi mesi addietro anche da Gian Franco Morra, ordinario di sociologia all'Università di Bologna: «Soltanto una società religiosa può bestemmiare, perché non si offende ciò in cui non si crede e non esiste». E l'Italia, in cui cresce l'indifferenza religiosa, sta smettendo anche di bestemmiare, disinnescando a poco a poco la miccia dell'insulto, della ri¬ volta al cielo. Tante opinioni, un'unica tesi comune: la bestemmia non può essere considerata un reato. «Ritenerla tale significa dare un pericoloso segno di intolleranza», si allarma Fo, che teme «un ritorno ai cartelli che si leggevano sui tram: qui non si bestemmia, non si sputa per terra». Un limite alla libertà individuale. Anche per Tomizza «uno scatto di collera verbale non può costituire reato». Insomma, oggi non farebbe scandalo, o ne farebbe di meno, il «caso Mastelloni», la bestemmia in diretta televisiva. Era il gennaio di otto anni fa: Leopoldo Mastelloni, intervistato da Stella Pende, per Blitz, da Bussoladomani, a Viareggio, davanti a tremila ragazzi che lo stringevano d'assedio, si lasciava scappare una bestemmia. Reazioni immediate, centralini bollenti alla Rai, migliaia di proteste «per caduta di gusto e mancanza di sensibilità». La trasmissione viene messa sotto accusa, giorni e giorni di polemiche, i responsabili si difendo¬ no sostenendo che «comunque, quello emerso attraverso la bestemmia è il Paese reale». Si arriva al processo, che si celebra davanti al pretore di Viareggio, Angelo Maestri. Mastelloni viene assolto. Bestemmia come semplice sfogo verbale, «bestemmia come repertorio della tradizione» secondo il punto di vista espresso da Ugo Gregoretti in una vecchia intervista. «Ha perso nei secoli i suoi contenuti di aggressività e di ribellione contro i valori dominanti», sostiene ancora Acquaviva. La bestemmia era spesso sulla bocca di agricoltori, operai, uomini di fatica. L'eroe antico sfidava gli dei scagliandogli contro la lancia, il contadino imprecava per la grandine. Oggi sarebbe un insulto senza fondamento, «classificare la bestemmia come un reato equivale a caricarla di significati che non ha», conclude Acquaviva. Al bando non per legge, ma per civiltà. Renato Romanelli Dario Fo: «La bestemmia è una professione di fede, solo chi crede può scagliarsi contro il suo dio» Gino Battali (qui accanto) A destra il regista Ugo Gregoretti

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