«Macché sinistra, quella è una pernacchia» di Claudio Martelli

«Macché sinistra, quella è una pernacchia» Battuta contro Craxi che aveva proposto alla de un patto di legislatura e candidato Borghini a Milano «Macché sinistra, quella è una pernacchia» E diventa un boomerang l'ultima invenzione di Occhetto LA BABELE LINGUISTICA FRA PDS E PSI ROMA. Prrrrrr... «Quando le cose stanno a questo punto», per dirla con Achille Occhetto, la sinistra è un suono triviale emesso con la lingua fra le labbra in segno di disprezzo e di beffa. Sì, esattamente: è una pernacchia. Da gloriosa parola, la sinistra regredisce dunque a sberleffo sonoro. Metaforicamente eseguito, secondo il segretario del pds in un'intervista a Repubblica, da Craxi che propone alla de un patto di legislatura e candida il transfuga Borghini a sindaco di Milano. Prrrrrr... In realtà nel richiamare (esecrandolo) il più classico e offensivo dei versacci Occhetto arriva per gradi. Parte con un'elegante citazione latina: di fronte a tutto ciò «la parola sinistra è un flatus vocis». Poi aggiunge: «Starei per dire una pernacchia». Locuzione efficace, senza dubbio. Ma poco politica, anzi decisamente autolesionista se si considera che il partito democratico della sinistra (e qui pare di riascoltare l'infausto rumore) punta proprio a un accordo con lo spernacchiatore Bettino. E così la disputa, anche terminologica, tra i due partiti pare giungere a impensabili livelli di raffinatezza. Certo un bel contributo l'aveva dato neanche tanto tempo fa Claudio Martelli, già inventore del «neuro-comunismo» ai tempi di Berlinguer, definendo la sospirata unità a sinistra «Pinco Pallino». E lo stesso Craxi, cui l'idea di un partito unico suscitava al contrario «brividi sulla schiena». Con l'evocazione della pernacchia, però, bisogna riconoscere che Occhetto, sia pure esasperato, ha superato tutti i confini. Forse era inevitabile. Sul modo in cui chiamare la futura alleanza a sinistra si assiste infatti da anni a un terribile tormentone di proposte e ripicche che ha finito per annebbiare quasi del tutto l'oggetto del contendere. Cominciano proprio Occhetto e Martelli, nell'ormai lontano 1987, con la «casa comune». Che si tira appresso svariate variazioni di natura edilizia e condominiale (tipo il «Non andremo ad abitare nel monolocale di Craxi»), Poi s'inserisce Nicolazzi, allora segretario del psdi, con 1'«alternativa riformista». Sostituito qualche tempo dopo dal suo successore Cariglia che, da poliglotta, propone un «rassemblement». Una volta lanciata la «Cosa» anch'essa, naturalmente, da battezzare - Occhetto, che lotta su due fronti, deve vedersela con quell'«unità socialista» su cui Craxi non è disposto a mollare di un centimetro. Un fatto di principio, un dogma, un puntiglio. Anche per questo Occhetto s'impunta. Ricorda che Craxi voleva addirittura cambiare nome all'Internazionale socialista (Internazionale democratica). E rilancia: «Unità riformista». Bettino: no, «Unità socialista». Achille: «Unità progressista». Bettino: no, «Unità socialista». Achille: «Alleanza riformatrice»... E così via, fino a quel rumorino scurrile con cui si apre il 1992: prrrrrr! E al di là della fumosissima disputa su come ci si debba riferire a proposito della sinistra, continua a sorprendere l'immaginifico Occhetto. Che per far colpo rischia di rimanere ancora una volta impiccato all'ulti¬ ma delle sue buffe invenzioni lessicali. In effetti il personaggio è più che recidivo. Autore di memorabili sparate e ardite metafore per «far titolo» e scuotere l'opinione pubblica, in realtà si trascina appresso un pesante fardello di formule che anche a distanza di anni suonano bizzarre, confuse, vanamente enfatiche. Celeberrimi, nell'«occhettese», «lo zoccolo duro» e «la rivoluzione coperni¬ cana». Già un po' meno quella «discontinuità» dal sapore meteorologico-matematico, o quell'acrobatico «inevitabilmente corresponsabile» (dei delitti staliniani) con cui venne definito Togliatti (e proprio inaugurando un monumento). Il problema è che Occhetto è assai generoso di parole. Perfino prodigo. E perciò il già ricco prontuario va continuamente aggiornato. A lui comunque si deve l'immissione, in politica, di «Cric e Crac», che sarebbero Craxi e De Mita, avviluppati, in altra occasione, «in un tango sado-maso». Si colora con grande facilità di «petardi», «kamikaze», «governi mostricciattoli», «punging-balh, l'«occhettese» puro. Linguaggio fantasioso ma anche eclettico, pronto a riciclare «nuovo inizio» (da Reagan) e «complotto d'Egitto» (da Craxi). A volte si sfiora la gaffe: c'è chi ricorda una dichiarazione su una diga crollata che si concludeva con «il problema è a monte». Come se non bastasse, Occhetto è un grande, forse un grandissimo animale da comizio. Ma la sua oratoria metallica sembra fatta per essere ascoltata mentre sui giornali produce uno strano effetto di esagerazione e ampollosità. «Indietro non si torna!»; «Abbiamo piantato bene questa quercia!»; «Cresce l'odio!»; «Vergognatevi! Vergognatevi! E ancora vergognatevi!»; «Ma chi è Craxi?». Per non dire della «Seconda Resistenza» contro Cossiga. O di temerari accostamenti tipo: «Di perestrojka ognuno ha la sua». Così, oltretutto, potrebbe parlare - e non è detto - solo un leader che vince. Comunque in piazza o all'osterìa, dove peraltro anche la pernacchia gode di un suo diritto d'ospitalità. Filippo Cecca redi A sin. Claudio Martelli che definì l'unità psi-pds «Pinco pallino» Sotto, Antonio Cariglia Foto grande, i due leader della sinistra Achille Occhetto (a sin.) e Bettino Craxi Il leader è recidivo nel linguaggio fantasioso Definì l'accordo dc-psi «un tango sado-maso»

Luoghi citati: Egitto, Milano, Roma