IL RISCHIO DEL TUTTO ESAURITO di Gianni Vattimo
IL RISCHIO DEL TUTTO ESAURITO IL RISCHIO DEL TUTTO ESAURITO più completamente umani? E dove ò finita l'idea, di cui è piena la nostra tradizione, secondo la quale i beni spirituali sono quelli che non si consumano ad essere goduti e condivisi all'infinito, ma anzi, in qualche modo, si arricchiscono proprio quanto più numerosi ne sono gli estimatori? Siamo probabilmente di fronte a un altro aspetto di quella che e stata chiamata la dialettica dall'Illuminismo, cioè la contraddizione a cui vanno incontro i valori universali nell'epoca della società di massa. Come dire che quando l'universalità, la condivisione da parte di tutti di un sapere razionale o di un gusto estetico, diventa effettivamente possibile, non appare più un bene desiderabile, e si comincia a pensare con nostalgia ai tempi in cui certe cose erano difficili e riservate a pochi. Ma, mentre sul piano pratico e della politica culturale è ancora possibile fare molto (per esempio, il numero chiuso, possibilmente non basato sul censo, a Venezia o sul Cervino o a Cortina) per vincere o almeno mitigare questa contraddizione, sul piano teorico non ha senso abbandonarsi all'ennesimo lamento di tono tragicistico. Invece, sarà bene riflettere che proprio nell'epoca della cultura di massa è anche diventato sempre più evidente che non si dà un unico sistema di valori «umani» superiori, a cui tutti debbano essere educati se vogliono diventare persone complete. Anche dal punto di vista dell'accessibilità dei beni culturali, la pluralizzazione dei sistemi di valori è forse la nostra unica speranza. La speranza, cioè, che i gusti della gente si differenzino all'infinito, magari anche a scapito di quei valori che a noi - un «noi» sempre più problematico, peraltro - appaiono imprescindibili e supremi. Non si tratta, con questo, di rinnegare i contenuti della nostra tradizione, ma di cominciare ad ammettere che, forse, ci si può educare umanamente anche rimanen do fuori dal canone della cultura europea occidentale e del suo patrimonio. Noi non abbiamo neanche l'idea di che cosa un tale pluralismo significhi, ma dobbiamo almeno ammetterne la possibilità anche e soprattutto per salvare da una contraddizione distruttiva proprio i valori in cui crediamo. Che cosa è ancora la contemplazione di un'opera d'arte se, come accade ormai di frequente, essa deve svolgersi tra masse urlanti in musei sempre più affollati, spesso disturbata proprio dalla presenza di quelle scolaresche che vengono «portate» lì per imparare ad apprezzare quei valori? Sperare in una differenziazione di valori e di ideali di vita è, certo, come sperare che i popoli del cosiddetto Terzo Mondo inventino un modello di sviluppo diverso da quello occidentale, che non comporti i costi ambientali che la nostra civiltà ha imposto a tutto il pianeta. Anche questa è una speranza di cui non intravediamo nemmeno i modi di realizzazione; ma alla quale non possiamo rinunciare, se non vogliamo rinunciare alla stessa idea di un futuro. Gianni Vattimo
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