L'Apocalisse di Chiappori
L'Apocalisse di Chiappori Le «visioni» del disegnatore L'Apocalisse di Chiappori mMILANO N Alfredo Chiappori a sorpresa. Non il popolare disegnatore satirico che lancia vetriolo contro il Palazzo, che mette in scena su quotidiani e settimanali i pupazzi di Craxi e Cossiga; ma un Chiappori che dipinge l'Apocalisse, il più acceso e visionario dei testi sacri: 49 pastelli fino a ieri in mostra a Palazzo Isimbardi, oggi in un libro prezioso, quasi un codice antico (appena edito da Rizzoli, con un'introduzione del teologo Gianfranco Ravasi e una meditazione di David Maria Turoldo). Tavole vivide, dominate da lingue di colore in vortici e grovigli astratti su fondo scuro: «Ho rinunciato a qualsiasi tentazione figurativa - spiega Chiappori - perché nell'Apocalisse le visioni sono senza spazio né tempo, fulmini e tumulti. E poi, come pittore, sono sempre stato non figurativo». Come mai l'Apocalisse? Chiappori, 48 anni, racconta che l'Apocalisse se la covava dentro fin da ragazzo: era affascinato da quelle immagini forti, dai loro dettagli, dal loro scorrere l'una nell'altra in una metamorfosi continua. «La mia non è stata una scelta religiosa in senso stretto: non sono cattolico praticante. Ma non per questo mi considero ateo o materialista. E' stato Goethe a darmi il via». Su Goethe ha lavorato parecchio. Ha illustrato la sua Fiaba e si è impadronito della sua teoria dei colori: «Per Newton tutti i colori insieme compongono la luce, per Goethe invece i colori sono azioni e passioni della luce in lotta con la tenebra». Da questo dramma visivo e conoscitivo gli è balzata davanti l'Apocalisse con la tempesta dei suoi colori e dei suoi numeri magici. Suggestioni che si sposano con un altro amore segreto di Chiappori, Rudolf Steiner (1861-1925), il filosofo austriaco che fa un bel cocktail di bio¬ logia moderna e di dottrina indiana delle reincarnazioni. «Steiner dice che il colore rivela sì la superficie dei corpi, ma è anche l'elemento che ci porta in alto, nei domini che lui chiama dello spirito. Io sono steineriano convinto». Chiappori è andato pellegrino più volte al Goetheanum, lo stupefacente edificio un po' chiesa e un po' teatro che Steiner eresse a Dornach, vicino a Basilea, dove le forme architettoniche in calcestruzzo alludono a forme umane: un podio-laringe, colonne-tibie. «Steiner ha studiato l'Apocalisse e ne ha messo in luce la dimensione forse più vera, cioè la speranza che si vive nel presente. Apocalisse non tanto come catastrofe futura, rovina del male a opera del bene, ma come rivelazione continua dell'unico circuito individuo-cosmo». «Non mi sento schizofrenico», conclude Chiappori. Gli viene naturale passare dagli ironici occhialoni tutti bianchi di Forlani e De Mita ai draghi e ai laghi di fuoco che animano l'ultimo libro del Nuovo Testamento. Anche nel suo studio a Lecco, regno del cane Bri e del gatto Rondò, ci sono due zone ben distinte, una con tavoli pieni di giornali e di strisce satiriche, l'altra con cavalletto e pastelli Rembrandt: «L'autore satirico si avvelena, corre il rischio di non credere più a nulla. Sprofonda nel negativo, pensa che tutto il mondo è sbagliato ed effimero e che la sua stessa opera è infetta dal provvisorio e dalla chiacchiera. Ho bisogno di un qualcosa che mi riequilibri, di spazi lunghi e vasti: un antidoto alla satira d'ogni giorno, alle parole orribili che dicono i miei personaggi apparentemente bonaccioni. Teatrino a fumetti e pittura sono per me complementari, vanno a braccetto». Claudio Altarocca
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