Hoepli così il Duce ci disse sì

Hoepli: così il Duce ci disse sì Mistero di 60 anni fa: perché Mussolini scelse per i suoi scritti un editore svizzero? Hoepli: così il Duce ci disse sì «Offrite poco, significa che non mi fregherete» IAMO nel 1932. Un giorno il dottor Barella, amministratore del Popolo d'Italia e della famiglia del Duce, viene a Milano a trovare Ulrico Hoepli, zio di mio padre e fondatore della nostra casa editrice, nel suo vecchio studio in Galleria De Cristoforis. Barella stava facendo un sondaggio fra i principali editori del tempo per decidere a chi affidare la pubblicazione delle opere complete di Mussolini, in precedenza edite dalla Alpes, ma non ben distribuite né ben stampate». Così inizia il racconto dell'attuale presidente della Hoepli, anche lui Ulrico, una solida quercia di 85 anni, che ha da qualche tempo delegato alla guida dell'azienda il fratello Gianni e il figlio Ulrico Carlo, pur continuando a vigilare dall'alto: su un catalogo di mille titoli - con 80 fra novità e ristampe ogni anno - e sulla bella libreria milanese, appena ampliata di un piano (sono cinque, adesso). Ma non ho chiesto di incontrare il presidente della Hoepli per parlare dell'operoso presente, che pure meriterebbe maggiore attenzione, bensì per chiarire un piccolo mistero che risale a sessantanni fa: come mai proprio a un editore svizzero, e prevalentemente di libri tecnico-scientifici, è toccato di pubblicare gli Scritti e discorsi di Mussolini e del fratello Arnaldo? La formidabile memoria di Ubico Hoepli consente oggi di sciogliere l'arcano. Tutto comincia con la visita di Giulio Barella (la cui figlia, Virginia, tra l'altro, avrebbe poi sposato Alberto Mondadori, primogenito di Arnoldo). «La proposta di Barella - ricorda Hoepli - lascia piuttosto freddo il vecchio Ubico, che con il suo spiccato accento svizzero tedesco risponde: "La ringrazio, ma la cosa non mi interessa. Noi pubblichiamo esclusivamente libri tecnici, non politici". L'inviato di Mussolini insiste: "Guardi che vi sono parecchi suoi colleghi i quali sarebbero felicissimi di aggiudicarsi l'incarico, perché può essere un grosso successo editoriale"». «Ma il mio prozio non molla. Barella estrae un foglietto arrotolato e glielo porge dicendo: "Gli altri editori hanno fatto la loro offerta, Lei scriva la sua. Non ne verrà fuori niente, ma non posso tornare dal Duce con un sondaggio incompleto". Allora il vecchio Hoepli, riferendosi ai diritti d'autore che era disposto a riconoscere a Mussolini, scrive: "Dieci per cento" che è la percentuale che noi abbiamo sempre dato agli autori, quasi una questione biblica, con l'eccezione di qualche autore scolastico». «Al sentire quel 10 per cento, Barella fa un po' lo scandalizzato e, senza molta diplomazia, mostra al proprio interlocutore quanto avevano offerto gli altri. Non posso fare i nomi, per discrezione, ma le percentuali erano tutte superiori: il 12, il 15, il 20 per cento; uno aveva offerto addirittura il 22 per cento. Il mio prozio è però irremovibile: "Mi rincresce, non toccherà a noi di fare gli scritti e i discorsi del Duce, ma noi più del 10 per cento non paghiamo. Non lab biamo fatto nemmeno con il Re d'Italia, per il Corpus nummo rum italicorum!"». Ubico Hoepli sorride oggi alla testardaggine dello zio. «A questo punto si salutano, convinti entrambi che non se ne farà nulla. Invece, dieci giorni dopo, arriva in casa editrice un telegramma di convocazione dal Duce. E qui entra in scena mio padre, Carlo. Infatti, il vecchio Ulrico aveva ormai 85 anni e non godeva di buona salute. Allora incarica mio padre di andare a Roma a trattare la faccenda. Al giorno e all'ora fissati, mio padre sale i gradini di Palazzo Venezia e viene presentato al Duce, nella famosa sala del Mappamondo». Siamo in piena aneddotica familiare. Il patriarca racconta il colloquio accentuandone volutamente i toni grotteschi. «Mussolini, in dialetto romagnolo, apostrofa così mio padre: "Ah, l'Hoepli, bravo, bravo, a l'è fiol d'un cuntadèn!". E Carlo Hoepli: "Sì, i miei antenati erano agricoltori, e sono stati per centinaia d'anni sulla stessa terra, nel Cantone di Turgovia". Mussolini: "Vedete, il contadino è più onesto del cittadino. Io ho visto tutte le offerte, e la vostra era la più bassa"». «Mio padre si sentiva un po' a disagio, aveva l'impressione di ricevere un rimprovero. Invece Mussolini sbotta: "Se mi avete fatto l'offerta più bassa, vuol dire che mi fregherete di meno!". Al che mio padre si rilassa e si mette a ridere: "Guardate, Duce, che noi i conti li abbiamo sempre fatti onestamente dal 1870, e alcune migliaia di autori possono confermarlo". L'incontro termina dunque cordialmente e con l'intesa di procedere». Il lavoro va in porto velocemente e a fine ottobre del '33 escono il primo e il settimo volume. Pochi giorni prima - esattamente il 18 ottobre - sul Corriere della Sera era stato annunciato con grande evidenza il piano dell'opera: in prima pagina, «di spalla» (cioè all'estrema destra), quasi un'intera colonna non firmata, dal titolo «I discorsi e gli scritti del Duce nell'edizione de finitiva». Il lungo corsivo con¬ cludeva con la notizia che «l'editore Hoepli ha avuto l'incarico di curare pure le edizioni in lingue straniere». Inevitabili le reazioni di gelosia, da parte di alcuni grandi editori italiani «più titolati», all'apprendere la notizia. «Corse persino la voce - continua il dottor Ubico - che mio padre, piuttosto un bell'uomo, fosse diventato l'amico di donna Rachele Mussolini; oppure che noi avessimo promesso ad alcuni amici del Duce - si parlò di Landò Ferretti, già capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio somme favolose, perché pareva inconcepibile che Mussolini affidasse a un editore straniero la pubblicazione delle proprie opere». Il successivo 1° novembre, sempre il Corriere della Sera recensisce i primi due volumi con un entusiastico elzeviro di tre colonne, a firma di Gino Veneroni («Aurora di riscossa furore d'epopea»). Seguono altri sei tomi nel '34 e quattro ancora fra il '35 e il '39: in totale dodici volumi, più un indice analitico-alfabetico (del 1940). L'edizione in brossura costa 15 lire a volume, quella rilegata in tela blu 25 lire, che corrispondono a circa 25-30 mila lire attuali (le librerie antiquarie vendono oggi il «set» più pregiato a 500-600 mila hre). I testi dei primi 10 volumi vengono curati dal giornalista del Popolo d'Italia Valentino Piccoli: «Con amoroso intelletto e diligenza acuta» - dice Mussolini nell'introduzione al primo volume (in cui elogia anche «quell'editore di grande stile e di indiscutibili meriti, che risponde al nome, in ogni parte conosciuto, di Ulrico Hoepli»). Gli ultimi due tomi sono affidati al redattore-capo di Gerarchia, Carlo Ravasio poi vicesegretario del Pnf. «Abbiamo composto i libri qui a Milano, da Stucchi - prosegue il presidente della casa editrice, snocciolando dettagli sempre più "professionab" - e per la stampa abbiamo fatto preparare una carta speciale, filigranata col fascio littorio e con la firma del capo del governo. Questo anche per evitare eventuali contraffazioni». «Per la distribuzione ci siamo serviti del normale canale delle librerie, perché il Duce - bisogna riconoscerlo - non voleva che si forzassero le vendite attraverso le federazioni del fascio. In tutto abbiamo venduto, nel corso degù anni, chea 52-53 mila copie dell'opera completa, stampando però prudenzialmente solo cinquemila copie alla volta di ogni volume. Questo fino al 1942. In quell'anno i nostri magazzini in via Mameli sono stati bombardati, di notte, e poi la gente ha avuto ben altro a cui pensare, che non comprare gb Scritti e discorsi». La storia è quasi finita. «Nel dopoguerra, gb eredi di Mussolini ci interpellarono circa la disponibilità dei diritti d'autore. Noi onestamente abbiamo detto che i diritti erano rimasti all'autore, al quale avevamo versato il 10% mano a mano che le vendite procedevano. Ma negli anni di guerra non avevamo più ristampato e per noi la questione era ovviamente chiusa. Più tardi uscì a Firenze una nuova edizione completa delle opere». Hoepli allude all'Opera omnia in 35 volumi, pubblicata dall'editore di simpatie nostalgiche La Fenice, fra il 1951 e il 1962, a cura di Edoardo e Duilio Susmel. Rimane un'ultima curiosità. Chi seguì alla Hoepli la redazione degh Scrìtti e discorsi? «Se ne occupò personalmente mio padre - risponde Hoepli -. Io andai solo due o tre volte da Mussolini a portargU le bozze, che lui rivedeva con una grande matita rossa. Però noi facevamo in modo che le bozze fossero assolutamente perfette, senza refusi». Sono passati quasi sessantanni, ma Ubico Hoepb rammenta ancora un episodio in cui esibì la propria giovanile incoscienza: «Il settimanale Paris-Match aveva pubblicato una foto del Duce, che arringava la folla dal balcone di Palazzo Venezia con il famoso cipigbo. La sfottente didascalia recitava "Souriez, donc, souriez". Nel corso di una delle mie visite, mostrai la foto al Duce e gli chiesi come mai avesse sempre quell'aria corrucciata in pubblico. E lui, forse pensando che io, come svizzero, l'avrei facilmente compreso, mi rispose in tedesco: "Wenn man auf der Bùhne ist, soli man Thester spielen", e cioè «Quando si è di scena, bisogna recitare». Sandro Gerbi «Un giorno gli chiesi perché in pubblico avesse sempre quel cipiglio. Rispose in tedesco: Inscena, bisogna recitare"» Ulrico Hoepli oggi, a 85 anni, nella foto grande, nel 1958 con l'omonimo prozio, fondatore della casa editrice. La famiglia era originaria del Cantone di Turgovia, in Svizzera. Sotto, Mussolini: per i diritti d'autore il vecchio Hoepli gli offrì il 10%, mentre altri erano arrivati al 22%. In basso, donna Rachele

Luoghi citati: Firenze, Italia, Milano, Roma, Svizzera, Venezia, Virginia