Giulio Einaudi, ottant'anni: «Il presidente sono io» di Pierluigi Battista

Giulio Einaudi, ottant'anni: «Il presidente sono io» A colloquio con l'editore alla vigilia del compleanno: dalle polemiche sulla Resistenza all'arrivo di Berlusconi in via Biancamano Giulio Einaudi, ottant'anni: «Il presidente sono io» «Rimpiango solo di non aver pubblicato "Zivago" e di aver perduto Calvino» A ROMA UGURI speciali, quest'anno, per Giulio Einaudi. Oggi compie ottantanni e l'editore ha in programma di festeggiarli nella sua casa romana con pochi amici, «tutti attorno ai quarant'anni, giusto la metà della mia vita, tanto per non offendere nessuno dei miei coetanei». Auguri al principe dell'editoria italiana, al figlio di Luigi Einaudi che ha saputo essere un protagonista della cultura di questo dopoguerra. Auguri all'editore amato e detestato, all'animatore del cenacolo intellettuale che in passato si è stretto attorno alla casa editrice di via Biancamano a Torino e al- l'uomo che per un momento è stato sul punto di schiantarsi sulle traversie finanziarie passate come un terremoto sul mitico marchio dello Struzzo. A ottant'anni, Giulio Einaudi ne ha viste di tutti i colori. Ma certo tutto l'editore avrebbe potuto aspettarsi fuorché celebrare questo compleanno senza che sul pennone più alto del Cremlino sventolasse la bandiera rossa dell'Ottobre: «Ho trovato disgustoso quell'ammainabandiera. E provo una grande tristezza per quei milioni di esseri umani che con quel vessillo hanno combattuto mille battaglie eroiche. Ma quel drappo rosso ci accompagnerà per tutta la vita. E non sarà certo una decisione dei nuovi padroni del Cremlino a farla ammainare dai cuori della gente». Neanche un pensierino buono si fa strada nell'amarezza? «Sì, uno per Bettino Craxi. Ho letto che ha voluto issare la bandiera rossa sul pennone del suo partito. E' un gesto che apprezzo molto. Una volta tanto, a ottant'anni, posso dire di aver ammirato il segretario del psi». Oggi Einaudi è di cuore tenero. Dicono che sia un evento raro. E se fosse l'occasione propizia per chiedergli del suo maggior rimpianto? «Come editore, il mio grande rimpianto è di non aver pubblicato il Dottor Zivago. Un libro che mi è stato rapito, visto che avevo pubblicato le poesie di Pastemak mirabilmente tradotte da Angelo Maria Ripellino». Il dolore più grosso? «La scelta compiuta da Italo Calvino di andare alla Garzanti. Ma mi consolo pensando che quel gesto addolorò Italo quanto e forse più di me». La mancanza più acuta? «Quella di Natalia Ginzburg. Avrei voluto tanto festeggiare con lei questi miei ottant'anni». E invece qual è il libro del catalogo Einaudi di cui l'editore oggi consiglierebbe la rilettura? «Non c'è dubbio: le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. E anche le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Troppa gente oggi si dimentica della Resistenza. E non mi piacciono nemmeno certe riletture che se ne fanno oggi, anche da parte di storici degnissimi». A chi si riferisce? «Per esempio al libro, peraltro scritto benissimo, di Claudio Pavone pubblicato da Bollati Boringhieri. Lì si parla della Resistenza come di una "guerra civile". Ma questa defi¬ nizione, che purtroppo vedo essere condivisa anche da Norberto Bobbio, proprio non mi va giù. Una guerra civile? No, fu una guerra di liberazione nazionale contro i tedeschi. E contro il fascismo italiano, certo, che però era già stato condannato dalla nostra coscienza civile». Parla malvolentieri del passato e del resto, precisa, quello che aveva da dire lo ha detto nel Colloquio con Severino Cesari pubblicato da Theoria. Già, ma la vicenda dell'editore Einaudi rischia d'imboccare un'altra clamorosa svolta. Si vocifera addirittura di Silvio Berlusconi come prossimo presidente dell'Einaudi. «E' solo chiacchiericcio», ri¬ sponde risentito. «A Berlusconi, come socio di minoranza della Elemond, spetta la presidenza di quella società. Scelta che considero giusta ma che non comporterà nessun mutamento di rotta per l'Einaudi, che resta autonoma e indipendente. E di cui io sono presidente, a meno che non mi dimetta o mi caccino via. Entrambe eventualità che non mi sembra proprio siano all'ordine del giorno». All'alba del 1992, Einaudi che cosa si augura di più? «Che possa vivere anche poco, ma sempre con la testa lucida. Poco, ma lucidamente. E pensando sempre». Pierluigi Battista Giulio Einaudi oggi festeggia il compleanno nella sua casa romana con pochi amici, «tutti attorno ai quarant'anni». Dice: «Ho trovato disgustoso quell'ammaina bandiera sul Cremlino»

Luoghi citati: Roma, Torino