«Wagner razzista? Colpa del padre»
«Wagner razzista? Colpa del padre» Le polemiche in Israele sul compositore: un articolo inedito di Léonard Bernstein «Wagner razzista? Colpa del padre» Continua in Israele la polemica su Wagner: l'Orchestra Filarmonica aveva votato il 13 dicembre la fine dell'ostracismo al compositore tedesco, ma ha poi eseguito quasi di nascosto il concerto previsto. Nell'85, mentre si trovava a Vienna per dirigere il Sigfrido e girare un film tv, Léonard Bernstein aveva scritto un articolo (ancora inedito) sul presunto «razzismo» della musica di Wagner. NON so quale finirà per essere il titolo di questo programma, ma ho un interessante sottotitolo: «Che cosa ci fa un bravo ragazzo ebreo come te in un posto come questo, a suonare questa musica razzista?». Io non credo esista qualcosa come una «musica razzista». L'«Horst Wessel Lied» sarà anche stato un inno nazista, ma se si eliminano le parole non è che una melodia carina. E la canzonetta fascista preferita da Mussolini, «Giovinezza», è una delle mie marce favorite. Di tutte le opere della Tetralogia wagneriana, Sigfrido sembra la più difficile da conciliare con la Teoria della Musica-è-Musica, forse perché è dominata dall'ideologia di un supereroe, di una superrazza. Eppure il terzo atto è un capolavoro di invenzione, di forma e di stile. Il mio attuale umore freudiano mi dice che la traccia che porta al trionfo di Wagner in questo atto è il suo cimentarsi - vittorioso - con il suo problema fondamentale: il padre. L'autentico eroismo di Sigfrido è quello di liberarsi di tutte le immagini oppressive del padre: il falso padre, Mime, che ha distrutto nell'atto precedente; il padre reale, Siegmund, che non ha mai conosciuto; e ora il suo vero progenitore, Wotan, il Dio, il misterioso avo dal quale si libera per diventare un uomo e conoscere l'amore. Questo ci porta al problema cruciale: il padre di Wagner. So che è pericoloso tentare di correlare la psiche di un artista con la sua creazione e può darsi che, nella città di Sigmund Freud, io trovi i testi più suggestivi del solito. Ma come si può ascoltare Sigfrido dire «So lang ich lebe, stand mir ein Alter stets in Wege» (Per tutta la vita un anziano si è posto sulla mia strada) e non pensare in termini edipici? Non solo dal punto di vista di Sigfrido, ma anche da quello di Wagner. Ma che cos'è questo problema del padre che ossessiona quasi tutte le sue opere, dal Lohengrin al Parsifal? Wagner, nei primi quindici anni di vita, considerò Ludwig Geyer, un attore ebreo divenuto suo patrigno, il vero padre. A scuola veniva addirittura chiamato Richard Geyer. Non è possibile che abbia sviluppato in questo periodo un'ostilità verso di sé? Non abbiamo spesso sentito di persone che si sono spinte molto lontano - addirittura ad abbracciare teorie di superiorità razziale (o, nel caso di Wagner, a inventarle) - per negare le orìgini del sangue? La fissazione per il padre è troppo forte, nella vita come nell'arte di Wagner. E anche se da parte sua ci fosse stato solo un sospetto, ognuno sa quanto possa essere drammatica, addirittura tranciante, la repressione di pensieri così sgraditi. Non saremo forse mai in grado di dimostrare questa repressione. E comunque che differenza fa? A chi importa? Saperlo renderebbe la musica più bella o più brutta? No. Ma porre queste domande e cercare possibili risposte potrebbe determinare una differenza notevole nel nostro modo di ascoltare la musica di Wagner. Wagner è morto e sepolto, ma noi che amiamo la musica siamo vivi e vegeti e affamati di grande musica. E se Wagner ha scrìtto della grande musica, come credo che abbia fatto, perché non dovremmo accettarla pienamente ed esserne nutriti? Léonard Bernstein Copyright «The New York Times»
Persone citate: Alter, Bernstein, Ludwig Geyer, Mussolini, Parsifal, Richard Geyer, Siegmund, Sigmund Freud
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