1994 sarà un 'avventura

tuttolibri tuttolibri 885 1994 ANNOXVHI. DICEMBRE 1993 PAOLO Volponi è preoccupato: «Ho il timore che molte cose si deprimano, si rovinino del tutto, il nostro Paese si sta immiserendo». Elémire Zolla è furente: «Attendo, ma ancora non ci credo, la scomparsa di quell'uggiosa coltre politica che ha soffocato la cultura italiana dal '45 in poi, coltre distesa dalla sinistra in modo oltraggioso e grottesco». Gillo Dorfles dubita: «Ho paura che il recupero morale degli italiani sia piuttosto moralistico e che il nuovo disprezzo per il consumismo sia il frutto, passeggero, della crisi economica». Piero Camporesi colpisce al cuore: «Credo indecente usare oggi la parola cultura in un Paese nel quale un ministro per i Beni Culturali,che lavora con competenza, viene criminalizzato. E' una beffa, un'offesa. Siamo un Paese ormai senza legge. E purtroppo, non ci sono più barbari che premono ai confini, né Visigoti, né Ostrogoti, né Longobardi; dico purtroppo perché l'Italia si è rigenerata anche attraverso le invasioni. Oggi i barbari ci sono, ma appassiscono dentro di noi». Palingenesi o apocalisse? Accidenti. L'imminente 1994 non sembra suscitare, neppure nelle sue prospettive culturali, alcuna simpatia tra i maestri del pensiero nazionale. Tra chi ha accettato di disegnare per noi un oroscopo-flash sull'immediato futuro, c'è al massimo qualche pessimista meno integrale degli altri. Franco Rella, per esempio, che dice: «Nel '94 mi riterrò già parzialmente soddisfatto se il nome di Giobbe Covatta scomparirà dalle hit parades dei libri e se, nella palingenesi della società italiana, i docenti universitari miei colleghi tenteranno di rinunciare al tradizionale voto di scambio nel commercio delle cattedre. Guardando all'interno della cultura, vorrei accorgermi che il "pensiero" è di nuovo un'avventura e non esclusivamente una "trattativa"». Unica voce dissonante nel risentito concerto è, vedi caso, quella di una donna, straniera, Marcelle Padovani: «Dopo questa rivoluzione di velluto mi sembra maturato in Italia il tempo dell'Utopia creatrice capace di dare concretezza ai sogni. Un compito che, secondo me, spetterà non a romanzieri o a filosofi ma a intellettuali pragmatici, a quelli che Dioguardi chiama "i missionari urbani", pronti a scendere in campo per ristabilire il vivere civile ma servendosi di sistemi semplici, concreti. Sono piena di speranza per voi. A confronto con le vostre, le prospettive della Francia, il mio Paese, per questi prossimi sei anni al Duemila, mi appaiono al momento meno definibili, noi attraversiamo una crisi di sfiducia più grave di quella che state superando in Italia». Naturalmente (quasi) ogni malattia ha la propria medicina, ma quella scoperta da Marcelle Padovani non sarà un po' troppo miracolosa? L'Italia dei crolli continui, è pronta per la nuova Utopia, posto che, struttural- Paolo Volponi «Il nostro Paese si sia immiserendo» Elémire Zolla: «Scompaia la coltre politica che ha soffocalo la cultura italiana» mente, sia capace di coltivarne qualcuna? E all'Utopia non sarebbe più salutare sostituire magari la ragione, così francese d'altronde, e da secoli per noi «sì bella e perduta», come sostiene Umberto Galimberti? «Non sappiamo quali imprevedibili strade il nostro Paese potrà imboccare - riprende Camporesi -; lo storico ha il dovere di sospendere il giudizio. Oggi può solo dire questo: lasciamo che i crolli continuino, sono crolli positivi, di pulizia, vorrei si allargassero...». Eccome, si allargano; d'ora in ora tutto si sfarina, anche il grande medium di Stato invadente e insidioso, la Raitv: «Benissimo, questi crolli coinvolgano pure anche la Rai, corresponsabile della miseria culturale del nostro Paese. A mah estremi, rimedi estremi. Ridurre, rendere meno pervasivo il bombardamento tv che ci perseguita, come ha suggerito, provocatoriamente, Vattimo qualche giorno fa, temo non servirebbe, perché la tv non è usabile in pillole, la tv è un fatto». E allora? Camporesi a questo punto gioca sul paradosso: «Chiudiamo tutto per 5 anni, la tv e soprattutto le scuole, università compresa che da tempo non insegnano più nulla. Basta con la cultura da bazar: l'Italia è stata un Paese rispettabile sino a quando ha avuto operai, contadini, artigiani, sino a quando è stata grande la cultura creativa della mano e non quella dissipatrice della lingua... Quindi meglio un analfabeta artigiano che un semianalfabeta laureato». Ecco il nodo di tutto: la scuola. Anche secondo Volponi: «La partita con il futuro della cultura si gioca non con gli editori, ma nei licei, nell'Università che continua a mancare il suo compito di forte laboratorio delle idee e per la quale urgono un progetto e la forza per realizzarlo. Ma chi lo ha questo progetto?». Sarà uno dei doveri della nuova sinistra, una volta al governo. Lo scrittore sembra scettico: «Temo che questa nuova sinistra, nebulosa, divisa e incerta, potrà far poco, legata com'è, ancora, ai vecchi sistemi di potere mentre la politica italiana ripartirà già condizionata da una legge brutta, antidemocratica come è il maggioritario e con la riforma delle istituzioni lunarmente lontana». Che fare allora contro il pessimismo dell'intelligenza? Affida-

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