Aria nuova anche in Vaticano Lo Ior dice addio all'omertà

r NOMI E COGNOMI Aria nuova anche in Vaticano Lo Ior dice addio all'omertà EL torrione vaticano di Niccolò Quinto, dove ha sede l'Istituto per le Opere di Religione, devono proprio aver fatto dei buoni propositi per l'anno nuovo. Per la prima volta a memoria d'uomo, il presidente della Banca della Santa Sede, il professor Angelo Caloia, e il presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza, il cardinal Rosalio Castillo Lara, hanno promesso che collaboreranno con le autorità italiane per chiarire il ruolo svolto dallo Ior nella spartizione della madre di tutte le tangenti, quella sull'operazione Enimont. L'impegno non è da poco e forse passerà ai libri di storia, visto che in tutti i precedenti scandali finanziari - e non sono pochi - che hanno visto l'Istituto vaticano pesantemente compromesso la regola è stata una e soltanto una: tacere. Anzi, l'omertà è stata praticata con qualche compiacimento, tanto che non più tardi dell'aprile scorso, lasciando dopo vent'anni il suo posto di segretario generale dello Ior, monsignor Donato De Bonis, che fu il più stretto collaboratore di Paul Marcinkus, non pronunciò neanche una parola di pentimento. A Santa Maria della Fiducia fece invece il panegirico di Giulio Andreotti, lì presente, «per averci salvato dieci anni fa con i suoi consigli». Con quali «consigli» l'ex presidente avesse salvato lo Ior, è ben noto: insabbiando prima lo scandalo Sindona, a costo di accusare ingiustamente il governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi e di mandarne in galera il direttore geneI rale Mario Sarcinelli; e poi, I qualche anno dopo, sanando a spese dei contribuenti italiani i 1287 milioni di dollari di debiti vaticani che contribuirono a provocare il crack dell'Ambrosiano. Ma si sa, pecunia non olet e la regola vale anche oltre il portone di bronzo, dove, peraltro, mai si manifestò qualche umana pietà non solo per Sindona e Calvi, morti misteriosamente, ma neanche per l'avvocato Giorgio Ambrosoli, l'onesto liquidatore della banca sindoniana, freddato a colpi di pistola in una via nel centro di Milano perché si era avvicinato troppo alla verità. Ecco perché l'impegno del professor Caloia a collaborare con i giudici si può definire storico, naturalmente se sarà seguito dai fatti. La matassa da sbrogliare è piuttosto complessa: riguarda almeno una novantina di miliardi in Cct versati da Luigi Bisignani e la gestione di un conto aperto presso lo Ior da Carlo Sama e da sua moglie Alessandra Ferruzzi nel 1990, al momento del loro matrimonio, officiato nella chiesa di Sant'Anna, dentro le mura pontificie, proprio da monsignor De Bonis. Dov'è finita quella montagna di denaro? Come poteva la banca della Santa Sede ignorare che si trattava di operazioni illegali? E quanto è rimasto nelle sante casse per i servigi resi? Davvero i 10 miliardi per «opere di carità» di cui si è parlato? Se così fosse, al torrione di Niccolò Quinto sarebbe stato applicato alla lettera quell'antico proverbio svizzero che dice: «Col dieci per cento di mancia si vive meglio che al cento per cento». E naturalmente per meritare le mance bisogna almeno chiudere un occhio sulla liceità degli scopi di chi le dispensa. Ma stavolta bisognerà dar credito al professor Caloia, allievo dell'arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, che promette di raccontare tutto ciò che sa e - è lecito presumere - di pentirsi se ha fatto ciò che non doveva. La Commissione episcopale «Giustizia e pace», del resto, non ha appena ricordato a tutti i fedeli che «osservare il codice penale è il minimo dei minimi»? Se non bastano l'etica e la fede sia almeno il codice a far cessare «il culto del disonesto denaro», anche se, come dice il papa in persona, lo scopo della giustizia «non consiste nel far cadere molte teste, ma nel cambiare molti cuori». Qualche cuore sta finalmente cambiando nel torrione di Niccolò Quinto? Quando nel 1989 s'insediò allo Ior, il professor Caloia disse: «L'eterno rapporto tra economia e uomo non è più un problema di paradiso e inferno. Oggi sembra che il denaro, dopo aver conquistato il purgatorio, punti direttamente al paradiso». Cammino assai arduo, a giudicare dagli ultimi luciferini fatti, per la banca papalina. Figuriamoci per i comuni mortali. Alberto Staterà sra^J

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