Caccia al killer pentito in chiesa

Il parroco che ha raccontato la confessione non cede alle pressioni dei giudici Il parroco che ha raccontato la confessione non cede alle pressioni dei giudici Caccia al killer pentito in chiesa Si fa strada l'ipotesi di un mitomane I magistrati: prossimi a una soluzione PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' un mitomane il giovane che, giorni fa, ha confessato al parroco antimafia di Palermo, Paolo Turturro, di essere uno degli assassini di Giovanni Falcone? Può darsi. Anzi, è più che probabile e a pensarlo sono in molti. Non ha confessato la sua responsabilità solo nella strage di Capaci, ma pure in altre terribili azioni sanguinose dei boss. Potrebbe anche essere un tentativo di depistare le indagini, di buttare fumo negli occhi per impedire di guardar lontano. E intanto, con le incertezze sull'attendibilità della clamorosa confessione, s'incrociano i dubbi sulla correttezza del comportamento del religioso che da anni è schierato contro le cosche al punto che, in settembre, dopo l'omicidio di padre Giuseppe Puglisi, parroco del rione Brancaccio, vive sorvegliato giorno e notte, accompagnato da una nutrita scorta. Avrebbe fatto meglio a tacere, don Turturro? La sua chiesa, la parrocchia di Santa Lucia, accanto al carcere dell'Ucciardone, è vigilata da soldati impegnati nell'operazione «Vespri Siciliani» con fucili mitragliatori anche all'ingresso principale. Turturro, che si è trincerato dietro al segreto del confessionale riconosciuto dal Codice di procedura penale, oltreché sancito dal Diritto canonico, non ha messo i magistrati della procura di Palermo in condizione di risalire al «penitente» che ha ammesso di essere un killer di Cosa Nostra. Domenica, interrogato dal sostituto Lorenzo Matassa, il religioso avrebbe fatto scena muta, o quasi. E per questa sua ostinazione, resa possibile dalla legge, Turturro dovrà trovarsi nuovamente faccia a faccia con i giudici. Lo farà presto a Caltanissetta dove sarà convocato fra giorni, se non fra ore, dal procuratore della Repubblica, Giovanni Tinebra, che è il titolare dell'inchiesta giudiziaria sul massacro di Capaci. Turturro continuerà a mantenere il segreto? Probabilmente sì. Ma sull'opportunità della sua rivelazione durante la Messa nella notte diNatale, finora si è alzata una voce soltanto, quella di padre Antonio Garau, pure lui scortato, pure lui uno dei parroci palermitani «blindati». Dice Garau che, davanti a un caso come quello di Turturro, avrebbe agito come lui. E aggiunte un particolare inedito, che eviden¬ temente deve aver appreso dal suo confratello. Eccolo: il mafioso pentito che scoppiò in lacrime durante la confessione avrebbe autorizzato Paolo Turturro a raccontare tutto, fatta salva la sua identità. E sul «chi è», si è sviluppata un'autentica caccia all'uomo, infarcita di ipo¬ tesi, supposizioni e indiscrezioni. Per alcuni, ad esempio, il mitomane potrebbe essere identificato in un giovane pentito di second'ordine che non si è ancora capito bene, dopo cinque anni, se sia con tutte le rotelle a posto, ovvero uno squilibrato. E' certo che, costui, stragi finora ne ha confessate una quantità tale da superare forse lo stesso numero di quelle commesse dalla mafia. Nessuna indiscrezione in procura della Repubblica, dove tuttavia il procuratore aggiunto, Luigi Croce, pur senza sbilanciarsi, ieri sera ha detto che si potrebbe anche essere prossimi alla soluzione del caso. Un vero e proprio caso, oppure uno dei tanti depistaggi organizzati a tavolino dai boss per disorientare gli inquirenti? E a Caltanissetta, il procuratore Tinebra fa opportunamente notare che nessuno degli attuali accusati o sospettati di aver partecipato alla strage di Capaci risponde alle caratteristiche del presunto pentito indicato genericamente come «un giovane sui ventidue anni» da don Turturro. Dei tre latitanti, fra i 18 incriminati 1' 11 novembre scorso, nessuno è tanto giovane: Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, ha 58 anni e gli altri due ricercati, Giovambattista Ferrante e Giovanni Brusca, ne hanno 35 e 36. Tace il cardinale Pappalardo. Non apre bocca neppure il numero 2 del clero siciliano, l'arcivescovo di Catania, Luigi Bonmarito. Il gesuita Angelo La Rosa, che sette anni or sono, accanto al cadavere di un assassinato dalla mafia nel mercato della Vucceria, urlò agli assassini in fuga «io vi maledico», si è dichiarato del parere che in un caso come quello di Paolo Turturro probabilmente il silenzio sarebbe stato da preferire. «In una situazione come questa - ha detto - è opportuno parlare solo se ciò può rivelarsi risolutivo e una testimonianza preziosa». Antonio Ravidà Una scena della strage di Capaci e don Paolo Turturro, il prete che ha raccolto la confessione di uno dei killer

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Catania, Palermo