C'è poco da ridere sulle privatizzazioni di Mario Salvatorelli

r I NOSTRI SOLDI C'è poco da ridere sulle privatizzazioni I è capitato tra le mani (distribuito all'edicola con ii giornale), il libretto della «Presidenza del Consiglio dei ministri» dedicato a «L'Italia privatizzata». Non tutto il testo, né tutte le illustrazioni (peraltro ben disegnate e talune anche gustose), trovo che siano da approvare. Per esempio, la vignetta del contadino che sparge banconote con il forcone, mentre il relativo fumetto dice: «I soldi sono come il letame», non è di buon gusto, anche se la dicitura vorrebbe nobilitarla affermando: «I soldi sono come il letame, perché se 10 spargete in giro fa bene, ma se ne fate un mucchio in un posto solo, puzza». Tanto più (o tanto meno?) quando il testo relativo dichiara che la Costituzione, con l'art. 47 («La Repubblica... favorisce l'accesso del risparmio popolare all'investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese»), non si è mai augurata «che gli italiani si riempissero le tasche di Bot». «Non vorrei che, propagandando in questo modo le privatizzazioni, la Presidenza del Consiglio si dia la zappa sui piedi». Se ne preoccupa il lettore N. Schiavon di Treviso che spiega così la sua preoccupazione: «Le privatizzazioni, in corso e preannunciate, potranno raccogliere, al massimo, dice l'opuscolo, 100 mila miliardi. Ma, 11 mucchio di letame, chiedo scusa, di Bot, supera i 400 mila miliardi di lire, di cui almeno 350 mila sono nel portafoglio delle famiglie (le prime destinatarie, evidentemente, dell'opuscolo). Se la "semina delle azioni" sarà feconda, come sembra lo sia, anche se i soldi ricavati dallo Stato con la loro vendita "saranno usati per comperare sul mercato titoli del debito pubblico ed estinguerli, riducendo così il debito", come spiega il libretto della Presidenza del Consiglio, il Tesoro, però, corre un grosso rischio». «Potrebbe, è vero, estinguere un numero di Bot equivalente ai 100 mila miliardi ricavati dalle privatizzazioni. Ma potrebbe anche trovarsi un buco di 250 mila miliardi, scavato dall'ex "popolo dei Bot" se, persuaso dall'opuscolo, non rinnovasse tutti i Bot, ma non acquistasse le nuove azioni, o perché non ne ha trovate più disponibili, oppure perché voltando le spalle ai Bot, ha finito per voltarle a tutti i titoli di Stato». L'opuscolo in questione, che turba il signor Schiavon, può dare, in effetti, l'impressione di essere andato al di là delle sue intenzioni, nell'intento di chiamare a raccolta tutti i risparmiatori e indurli a trasformarsi in azionisti. I compilatori del libretto, affascinati per primi dalle loro stesse citazioni e dai relativi fumetti, sembrano «presi d'amore» al punto di esserne diventati adoratori e, quindi, ciechi. La famosa frase della non meno celebre Zsa Zsa I Gabor, «Non ho mai odiato un I uomo al punto da ridargli indie¬ tro i diamanti», citata nell'opuscolo, s'può interpretare anche come un invito a non ridare indietro al Tesoro, cioè a non rinnovare i titoli del debito pubblico. E come si fa a sostenere che, «anche vendendo tutto quel che è ragionevole vendere» da parte dello Stato, «sarebbe ben poca cosa rispetto al suo debito»: 100 mila miliardi al massimo, rispetto ai 2 milioni di miliardi del debito»? Le stime sul patrimonio dello Stato, mobiliare e immobiliare, già cinque o sei anni fa parlavano di 2 milioni di miliardi, almeno 3 milioni di miliardi di lire correnti oggi. Certo, non tutto si potrebbe vendere, per motivi, oltre che evidenti, anche di mercato. Ma è altrettanto certo che «tutto» quel che sarebbe «ragionevole vendere» è assai più che un trentesimo di quel «tutto». Sia chiaro che, rispondendo così al lettore Schiavon, non ho alcuna intenzione di fare contro-propaganda alla privatizzazione, come mi sembra, del resto, che non voglia farne il lettore. Ma, il denaro è cosa seria: per lo Stato, per le imprese e, mi sia permesso, soprattutto per le famiglie. E allora, che cosa c'entra il letame con i soldi, a meno che si voglia alludere al detto latino: «Pecunia non olet», il denaro non puzza? Già quattro secoli fa Torquato Tasso, nella sua «Gerusalemme liberata» (tema sempre di attualità), ci fornisce un esempio di tecnica di pubblicità: «Come all'egro fanciul porgiamo aspersi di soave licor gli orli del vaso, succhi amari ingannato intanto ei beve e dall'inganno suo vita riceve». Però, se nel «vaso» metti, per dirla meno poeticamente, fischi per fiaschi, anche il povero malatino si sentirà preso per i fondelli, quanto meno disorientato, e potrà avere reazioni opposte a quelle che il medico si ripromette, del tipo «boomerang». Essere chiari, parlare anche terra terra per farsi capire da tutti, disegnare pupazzetti per invitare alla lettura, tutto più che giusto. Ma, su un argomento tanto delicato, era meglio rinunciare al boia tagliateste (o taglia borse?), e al barbone salutato festosamente dal banchiere che esclama: «E' il nostro miglior cliente, ci deve 2 milioni di miliardi». La situazione delle finanze pubbliche, l'inestinguibile sete del fisco e l'incessante ricorso alle nostre tasche per spegnerla, sono cose che almeno a me, e ritengo ai miei lettori, non fanno ridere affatto. Mario Salvatorelli eli! |

Persone citate: Gabor, Pecunia, Schiavon, Torquato Tasso

Luoghi citati: Gerusalemme, Italia, Treviso