In fila dal sindaco della «ggente» di Liliana Madeo

In fila dal sindaco della «ggente» Gli appuntamenti con i cittadini, la visita a barboni e handicappati, il bagno di folla allo stadio ■>>:■:■:■:■>:-:■:■:':*;■>:•:■:■:■;■;■;■:■;■;■;■;■;■:■; NUOVO LOOK IN CAMPIDOGLIO In fila dal sindaco della «ggente» Un giorno con Rutelli, cronometro alla mano AROMA LLE 20,39 Francesco Rutelli mette piede sul campo dell'Olimpico - dove gli attori e i cantanti fans della Roma e della Lazio stanno per disputare, per beneficenza, il Derby del Cuore - e un boato di applausi, slogan, petardi, voci, lo accoglie. I fischi sono soltanto una nota fra le altre, in mezzo agli striscioni che ondeggiano nell'aria della sera fattasi mite. «Sarà un mare di fischi. Da parte dei fascisti. Dai romanisti della curva Sud» si era predetto il sindaco, preparandosi al peggio. C'erano, sugli spalti, 38 mila persone, per lo più ragazzi venuti ad ammirare i divi della tv e della canzonetta. La presenza di Rutelli, per loro, era appena un motivo di curiosità, un'occasione in più - magari - per fare «caciara». Per lui invece il tuffo fra la «ggente», già sperimentato durante la campagna elettorale, è qualcosa di terribilmente serio: rientra in quel programma per la «pertinizzazione» della sua immagine che gli strateghi dello staff-Rutelli gli hanno cucito addosso e che lui ha fatto proprio. Una mossa sbagliata nei suoi «primi cento giorni» avrebbe potuto avere effetti disastrosi. «Invece è stato un successo, una vera un'ovazione» gli assicurano gli uomini dell'entourage. I minuti prima della partita erano stati movimentati. «Dai, resta, gioca anche tu» aveva insistito Carlo Verdone. Negli spogliatoi dei giallorossi Ninetto Davoli e Tony Santagata, Fabrizio Frizzi e Antonello Venditti se lo sbaciucchiavano. «Che faccio, devo andare anche dai laziali?» il sindaco si interrogava, temendo le conseguenze che una gaffe può scatenare in tema di tifoseria. Più rassicurante gli era parso ai- lora l'esercito dei bambini biancoazzurri con smania di autografo. Enrico Montesano, neo consigliere comunale, gli presentava il figlio e commentava la prima seduta in Campidoglio: «Hai visto "er pecora"? Un gentleman, il Bontempo msi». Stefano Masciarelli, il cronista sportivo di «Avanzi», lo provocava: «Che fai, diventi romanista?». «No, mai. La mia è una malattia congenita» giurava Rutelli, tornando a barcamenarsi fra ufficialità seriosa e la tentazione della partigianeria. Niente calci al pallone, però. «Dopo la campagna elettorale ho il fiato per resistere in campo quattro minuti». Con fiato da recordman invece - dopo che la partita è cominciata - rilascia una sequela di interviste a tv e radio private. Ripete, con immutato slancio, gli stessi propositi: «Voglio parlare di Roma non della Lazio o della Ro¬ ma... Conta la città, che in quattro anni diventerà un'altra...». Ma il suo tempo per la tappa al derby è scaduto. In macchina Rutelli socchiude per un attimo gli occhi. Forse è stanco. In questi «primi giorni di scuola» non si è risparmiato incontri, ringraziamenti, impegni istituzionali, cortesie. Quasi ogni giorno gli ha dato il suo «bagno di folla». Dice: «Certo, il lavoro è tanto. Ma un politico è facilitato da un qualcosa in più che lo aiuta: la passione politica, l'ambizione, l'ambizione di fare...». Alle 8,30 del mattino era già da monsignor Di Liegro, il direttore della Caritas. Alle 16 era in Campidoglio, al primo appuntamento - che sarà settimanale - con i cittadini. Più di duecento le lettere arrivate, diciannove quelle cui sindaco e giunta hanno dato risposta, alcune decine le persone presenti. Oculata la selezione de¬ gli interventi e dei quesiti: 3 minuti per porli, 5 per rispondere. Il sindaco - abito grigio e cravatta verdina - ha presentato l'iniziativa, «ancora in via sperimentale», sciorinando orgoglio, diligenza, ringraziamenti. Poi la parola è passata ai problemi pratici - mercati, strade buie, traffico, affitti impazziti - e un signore in quarta fila si è quietamente addormentato. Ma la regìa dello staff aveva previsto come rianimare la situazione. Ecco quindi l'handicappato che con fatica prende la parola contro le barriere architettoniche, il bambino che auspica la bici sulla metropolitana, l'obiettore di coscienza volenteroso. Anche Rutelli - a questi passaggi smette di firmare carte, ascoltare i suoi collaboratori, grattarsi mento e riccioli, e applaude, ride, promette, assicura. E lo spazio per la propositività del cittadino? «Lo troveremo. Troveremo il modo perché i diritti rimasti sulla carta siano attuati, perché il regolamento di partecipazione sia esaminato dal consiglio comunale, perché la speranza di partecipazione non produca frustrazione» garantisce, quando finalmente - dopo due ore - l'incontro si conclude. Adesso deve tornare assolutamente a casa, perché arriva l'assistente sociale per il controllo mensile relativo al figlio adottato. «E' imbarazzante. E' una mia dipendente. Per legge il bambino è tutelato dal sindaco. Io sono il controllato e il controllore di me stesso. Una situazione unica» spiega ed è perplesso ma anche un po' divertito. Se ne va di corsa. Il viaggio verso l'Olimpico, con la città paralizzata, in una marmellata di macchine immote, diventa un'avventura. «Guarda, Francesco, devo fare qualche scorrettezza se vogliamo arrivare» avvisa l'autista. E sia. Lui si spenzola in avanti, per l'apprensione e lo stupore. La macchina sgomma e imbocca - contromano - viale Angelico, con le palette issate fuori dai finestrini e le sirene che urlano. Il traffico ne è ancor più stravolto. Rutelli ammutolisce e confessa: «Ho una paura terribile. Anche per questo continuo ad andare in motorino. In orari sballati. Quando nessuno se lo aspetta. Per non cambiare proprio tutto nella mia vita». Si è tagliato la criniera dei suoi bei riccioli. Ma resta sempre «il piacione», come lo aveva etichettato il generale Angioni quando per un poco - fu suo rivale. E continua a diffondere messaggi di seduzione, intorno a sé, con studiata naturalezza. «Amore, ho lasciato l'Olimpico e sto andando alla stazione. Fra un'ora sono a casa. Fra un'ora» informa tenera- mente la moglie col cellulare, in macchina. E teneramente incomincia l'incontro coi barboni di Termini e della Tiburtina, guidato dai ragazzi della Comunità di Sant'Egidio. «Ma perché mi spari?» scherza con la bambina di Benevento che vive fra i cartoni, coi genitori senza più lavoro. «Hai votato Fini? Va bene, va bene lo stesso» saluta il «fascistone» messo per strada da un istituto, che gli ha detto per chi batte il suo cuore. «Che fate tutto il giorno?» chiede ai ragazzi tossici, senza casa né più famiglia. «Hai 76 anni? Si vede che l'aria aperta ti ha fatto bene: non li dimostri proprio!» si complimenta col «veterano» del gruppo. Fra il popolo dei diseredati gli è facile muoversi. Alcuni 10 riconoscono. Tutti lo accolgono e seguono come una divinità. Le loro richieste sono semplici e insieme cosmiche. Il sindaco non si sbilancia, sorride, s'informa, è serio, è scherzoso. Gli assonnati viaggiatori tirano dritto. «Bisogna trovare una sanatoria» dice ai taxisti abusivi che si sono presentati in gruppo, coi loro problemi. «La sicurezza del luogo va tutelata» dice ai ferrovieri. «Le targhe alterne non le avremo mai, giuro» dice al ragazzo che s'è «fatto la macchina catalitica per poter girare sempre». L'orologio continua a correre. 11 suo copione della giornata è ormai alla fine. Quando ritorna in macchina, consulta l'agenda, che si chiude il 31 sera con la cena alla mensa della Caritas e lo spettacolo a piazza del Popolo con la cittadinanza. Il filo con la «ggente» si rivela un itinerario lungo, impegnativo. La «pertinizzazione» può anche essere massacrante. Liliana Madeo 3 minuti di domanda, 5 di risposta nel rendez-vous con i romani Le corse in auto blu: «Che paura» Francesco Rutelli. Sopra, Enrico Montesano, neoconsigliere, a lato mons. Di Liegro, direttore Caritas

Luoghi citati: Benevento, Lazio, Roma, Sant'egidio