Vecchio West si replica

Marzo 1890: Buffalo Bill si fa fotografare davanti a San Pietro. \ Oggi sterminio e riserve diventano cultura Fotografie e film storici sulla grande «frontiera»: folclore, business, mito e verità Vecchio West, si replica // mito da John Ford a «Soldato blu» RROMA ESISTE nella moda, imperversa nella pubblicità ma nella coscienza americana l'idea di West legata al mito della frontiera seguita a incrinarsi. Dopo i registi che all'apologia di generali, sceriffi e sciantose hanno preferito la realtà di amanti indiane, soldati blu e piccoli grandi uomini, anche gli storiografi e i critici d'arte ora sentono il bisogno di rivedere l'epopea in favore della storia. Da qualche tempo, infatti, avanzano dubbi sulla qualità e finalità della western art cui il cinema avrebbe poi attinto a piene mani, alimentando lo stereotipo della wilderness su cui campeggia l'immagine eroica del pioniere e del cowboy. Cent'anni fa, a celebrare l'avventura della marcia verso Ovest che s'era appena conclusa, da oltre Oceano arrivò lo spettacolo folcloristico che alimentava la leggenda. Oggi, mentre a Milano, al Castello Sforzesco, è aperta la mostra «Segnali di fumo, l'avventura del West nella fotografia», il Palazzo delle Esposizioni di Roma riapre il caso the American West con una iniziativa articolata e intelligente che affronta vari aspetti del fenomeno. Oltre a quadri, fotografie e documenti che esaltano o testimoniano le fasi della conquista nei primi settant'anni del secolo scorso, la mostra dedicata a «L'arte della frontiera americana 1830-1920)» propone successivamente una lettura scenica, una retrospettiva dedicata a John Ford e una rassegna di western dalle origini ai nostri giorni, ma pure un convegno internazionale, danze, musiche, favole, preghiere propiziatorie degli indiani d'America e persino delle serate dedicate alla loro arte culinaria. Nel marzo del 1890, invece, il Buffalo Bill's West, accampato poco lontano dalle mura vaticane dove il Papa s'era da due decenni asserragliato, esibì per mesi acrobazie di amazzoni e cowboy, sfilate di squaw e gare con l'arco di seminudi capotribù e guerrieri Cheyenne e Arapaho carichi di piume e collane variopinte. Sul dramma dello sterminio e della claustrazione nelle riserve vinceva lo spettacolo da circo, cui non mancò la sfida tra cowboy e butteri della paludosa Cisterna che, per fortuna, si concluse con la vittoria dei nostri mandriani. Di questo business di proporzioni colossali che girò l'Europa rafforzando il mito americano, non troppo diversamente dagli antichi «Trionfi» degli imperatori, s'era fatto promotore quel colonnello W.S. Cody, pioniere celebrato nelle ballate country e horse sense prima che nei versi di Cummings. E dal conte Primoli, che in quei giorni scattò oltre duecento foto, Cody-Buffa- lo volle farsi ritrarre impettito sul suo cavallo bianco con la Basilica di San Pietro, piccolissima, sullo sfondo. Ma la documentazione del nostro illustre pioniere della fotografia è solo una parte del ricco materiale inedito presentato nella odierna mostra curata da Orietta Rossi Pinelli e Marialisa Tittoni, che resterà aperta sino al 28 febbraio. Pre¬ stati dai più importanti musei americani, vediamo infatti per la prima volta i quadri dei pittori che crearono e potenziarono il mito del West raffigurando bonari indigeni, orizzonti sterminati, cieli azzurrissimi e una natura rigogliosa che accendeva l'immaginario promettendo ricchezza, libertà, promozione sociale e puro mondo vergine immune dalla degenerazione dell'Est. Insomma, l'Eden. Ospitate su riviste ad ampia diffusione, le loro illustrazioni rendevano più efficace lo slogan go West young man che, sollecitando un ardimentoso spirito d'iniziativa, spinse singoli e piccole carovane in una marcia estenuante, verso traguardi molto spesso drammatici o deludenti. Intanto, nei quadri di genere gli indiani diventavano minacciosi e sanguinari, le diligenze polverose cedevano il posto a locomotive sbuffanti in mezzo a boschi dove comparivano i primi scempi. «La maggior parte degli artisti del West erano officianti del mito del progresso - scrive Peter Hassrick in uno dei saggi presenti nel bel catalogo a cura di Federica Pirani -. La conquista veniva celebrata ed esaltata sia come lo strumento del progresso democratico nelle mani dell'uomo comune, sia come il risultato di tecnologie in evoluzione viste come agenti di un progresso che non conosceva ostacoli... e che divenne alla fine l'attestazione tangibile dell'identità nazionale - percepita dal popolo americano come vittoria morale e spirituale». Le conseguenze sono note e per Hassrick non si salvano nemmeno gli artisti migliori. Facilitando e incrementando la popolarità di valori spesso deviami, si sarebbero resi colpevoli come gli altri attori del dramma della frontiera. Comunque, il fascino di certi paesaggi di Bierstadt, in cui Turner affiora prepotentemente, è innegabile; la sincera partecipazione di Catlin e di Valentine Bromley alla spiritualità indigena escono dal coro e l'opera di Remington è ricca di metafore di tutt'altro tipo. Lo stesso malinteso spirito di progresso che guidò la conquista, animò dei tentativi di rieducazione degli indigeni. Di fronte alle foto inedite della collezione Giglioli, appartenente al Museo Etnografico Pigorini, che esibiscono come fenomeni da baraccone Cheyenne e Shoshones, Navajo e Omaha, Hopi e Zuni, fotografati prima e dopo la «cura», ovvero la rieducazione alla civiltà, vengono in mente gli alienati curati da Charcot alla Salpetrière di Parigi negli stessi anni. E che dire dei leggendari Nuvola Rossa, Cigno Bianco o Pallottola di Pistola, mortificati in uno studio fotografico accanto a rocce di cartapesta e finto muschio? Paola Decina Lombardi Marzo 1890: Buffalo Bill si fa fotografare davanti a San Pietro. \ Oggi sterminio e riserve diventano cultura NuAAli \ Nella foto grande, qui sotto: una drogheria di Omaha. A sinistra: la danza del raccolto. A destra: un'opera di A. Miller n basso a destra: la preghiera agli spiriti in una foto di E. Curtis

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