« Non rinchiudetemi in casa»

« « Non rinchiudetemi in casa» Aveva detto, piuttosto rimango in carcere L'IMPUTATO NON VOLEVA COMPROMESSI MILANO. «O la libertà o niente, 10 resto qui». E sì, adesso è libero Sergio Cusani, il finanziere rimasto per cinque mesi in quel sesto raggio, primo piano, lato B di San Vittore che da 22 mesi vede passare politici e imprenditori travolti dal ciclone Mani pulite. Lui, a quella mezza misura degli arresti domiciliari chiesta da Di Pietro, non ci pensava proprio. E forse, a quella libertà invocata a gran forza e decisa ieri dal presidente Tarantola, nemmeno sperava più. Fino alle 18, quando 11 portone di ferro di San Vittore si apre e sguscia fuori l'Alfa grigia. Davanti l'avvocato Pilerio Plastina, alla guida un famigliare, e lui dietro con il figlio Luca. Infastidito dall'esplosione di luce delle lampade delle telecamere Sergio Cusani, cappotto blu e coppola a quadrettoni bianchi e grigi, abbassa lo sguardo, e se ne va senza dire una parola. «E' sotto schock, cinque mesi così non sono uno scherzo. E' molto dimagrito, ci vorrà del tempo prima che si. riprenda», spiega l'avvocato Pilerio Plastina. E quasi quasi nemmeno lui crede che il giudice Tarantola abbia accolto a 360 gradi la richiesta di liberazione. Senza le condizioni che aveva posto Di Pietro: arresti domiciliari, niente contatti con l'esterno, niente di niente, a casa come in carcere. E lui aveva detto no a quelle condizioni. Un no deciso, meditato dopo aver letto i giornali che già annunciavano la scarcerazione, in un modo o nell'altro. Le sue condizioni Cusani le detta al telefono a sua moglie, in un colloquio straordinario concesso all'ultimo minuto: «Faglielo sapere, io da qui esco solo da libero». Anche alla direzione di San Vittore Cusani fa sapere ieri mattina che è pronto a passare in carcere Natale, e poi Capodanno, e poi chissà quanto ancora fino a quella libertà invocata dal 23 luglio. Deciso, sì. Tanto da presentare la «domandina» alla direzione del carcere per passare in un'altra cella, tra altri detenuti, almeno il giorno di Natale. E invece no, alle 13 e 15, in diretta sui Tg Sergio Cusani scopre che le feste, tutte, le farà a casa, libero senza condizioni. La Tv gli manda i sorrisi del suo avvocato Giuliano Spazzali, che ripete: «E' una vittoria. La decisione del Tribunale è importante dal pun¬ to di vista della motivazione, è un'ordinanza molto equilibrata». Avvocato, Cusani ci sperava? «Francamente gli abbiamo sempre detto di non mettere mai in conto la scarcerazione. Sarà sorpreso anche lui, adesso». Nemmeno un'ora dopo che i Tg gli hanno dato la notizia, il finanziere incontra i suoi legali in carcere. Un lungo, fortissimo abbraccio. E poi tante domande: sul processo, sui giudici e sul presidente Tarantola che ha detto «no» a Di Pietro. Tante domande e una promessa: il 4 gennaio, quando riprenderà il processo, lui, il fantasma di 19 udienze, ci sarà. Ma c'è ancora un intoppo. Prima manca il «sì» dei giudici dell'inchiesta Eni-Sai per cui Cusani aveva ricevuto un mandato di cattura, poi si scopre che sono scaduti i termini di uno dei 5 mandati di cattura per l'inchie¬ sta Enimont, quello relativo alla violazione del finanziamento dei partiti. Fortuna che a palazzo di giustizia c'è ancora il giudice Davigo. Una telefonata, poi un fax, e il magistrato di Mani pulite dà il via definitivo alla scarcerazione. Ore 18, cinque mesi esatti dopo quel 23 luglio, quando per Cusani erano scattate le manette, a poche ore dal suicidio di Raul Cardini e dai funerali di Gabriele Cagliari, i due protagonisti, e oggi i due grandi assenti di Enimont. Prima della libertà, prima di correre a casa, appartamento ultimo piano di un palazzo borghese a Città Studi, Cusani saluta tutti. E agli agenti di custodia dice: «Mi raccomando con chi resta, il Natale qui dentro è molto duro». Fabio Potetti

Luoghi citati: Città Studi, Milano