La pietra profuma di pelle
Due rassegne, a Roma e Aosta, per i 93 anni di Messina Due rassegne, a Roma e Aosta, per i 93 anni di Messina La pietra profuma di pelle Uno scultore che rimodella la natura P ROMA ER i 93 anni di Francesco Messina, un'apoteosi in due tappe che si concluderà il 13 febbraio. A Roma, nel Braccio di Carlo Magno dei Palazzi Vaticani, una sessantina fra statue e bassorilievi, 6 medaglioni e una ventina di disegni sono concentrati sull'immaginario cattolico, ma si estendono anche ad antologizzare la varietà dei temi e delle tecniche. Ad Aosta, al Centro Saint-Benin, 19 bronzi, marmi, graniti di medie e grandi dimensioni accentuano il carattere antologico, puntando prevalentemente sull'ultimo ventennio. In entrambi i casi, due sontuosi cataloghi Fabbri (quello per Aosta introdotto da Federico Zeri) esaltano attraverso l'alta qualità delle immagini fotografiche la preziosità materica superficiale, che è caratteristica del maestro. Nel catalogo romano, Maurizio Fagiolo dell'Arco ricorda una frase di De Chirico concernente l'amico, con cui aveva esposto a Genova nel 1933: «A forza di lavoro, di polimento della forma, di acutezza plastica ad ogni angolo della scultura, le statue nascono come creazioni piacevoli a guardarsi, a toccarsi, a fiutarsi; hanno infatti anche un buon odore». Impagabile, feroce De Chirico: in effetti, nel Braccio di Carlo Magno o nelle sale ricavate da Saint-Benin, sentiamo aleggiare una sorta di profumo di una mitica Europa fra classica e naturalistica dei primi decenni del secolo, un'Europa plastica, talora monumentale, talora nervosa ed elegante, arroccata prima contro le avanguardie poi, fra le due guerre, contro stilismi, espressionismi, arcaismi. E' sempre De Chirico che esalta la sua antistilizzazione: «Lo stile non si cerca; lo stile viene da sé. Cercare in arte il lato più facile sotto l'egida dello stile e dello spirito è una via che conduce alla noia e alla mediocrità. E' ciò che hai capito tu, Francesco... Anziché arcaicizzare e jacopodellaquercizzare, lavori con gli occhi ben aperti e fissi sulla natura e sopra i modelli più compiuti che ci hanno lasciato gli artisti del passato». Naturalismo e compattezza («compiutezza») dei modelli di una tradizione, che corre dal classicismo alessandrino al Rinascimento e che recupera - un dato singolare ed unico nel secolo l'800 da Bartolini e Vela a Gemito, sono il lungo filo rosso che raccoglie i momenti svariatissimi di settantanni di lavoro. Zeri ha giustamente stretto in un nodo preciso questo doppio filo quando sottolinea il rapporto con Gemito, naturalista fino all'illusionismo e pompeiano nello stesso tempo. Nelle due mostre queste radici sono ben evidenti, dal Pianto di Adamo e dal Giobbe - un «barbone» milanese che ripete il modulo del S. Gerolamo di Leonardo, e sembra Branciaroli che recita Testori - esposti a Roma, ai tre bronzi del 1935 ad Aosta, di fanciulli al mare. La patina verde «antica» del Giobbe, le colature di acqua e sabbia sul torso sdutto del fanciullo Nuotatore, illusionistiche e nello stesso tempo come ageminate, quasi a trasformare l'epidermide in corazza, contengono in sé tutto il futuro migliore di Messina. I richiami da una mostra all'altra sono frequenti, dato anche l'ossessivo amore dello scultore per il tema con variazioni. Non solo per identità di modello, che è la moglie Bianca, il sapor di sale dalle cave carraresi di un moderno neoclassicismo accomuna la Dama seduta del 1942 a Roma e ad Aosta la Bianca del 1992, rifacimento di un modello del 1938. Talora il gioco mostra la corda, per eccesso di fiducia nell'abilità di gestione delle materie: il Pugile in bronzo del 1956, uno degli ultimi capolavori di un tema suo felicissimo per «moderna» violenza naturalistica, diventa greve e sommaria esibizione di cultura classica pergamena nella versione marmorea del 1992. Altro punto di forza, in cui natura e psicologia si alleano, sono certo i ritratti, presentati a Roma. Nell'immagine ecclesiale, in inevitabile confronto con Manzù, Messina sceglie di essere l'interprete della Controriforma contemporanea, dall'assorto busto borromaico di Ildefonso Schuster all'immagine straordinaria, persino violenta, in San Pietro, di Pio XII, papagiudice cupo e catafratto fra l'altissima nutria e il piviale ornato con i gigli di Francia. La mostra romana comprende anche esempi di quella che è forse la produzione più originale di Messina (la più estrosa, la meno «colta»), i ritratti e figure in terracotta policroma. A ragione, Zeri lamenta che ad Aosta, sul palcoscenico d'onore, figuri la versione in granito nero di Irina (stentata, rigida) e non quella originaria, 1982, in terracotta policroma. Marco Rosei Due opere di Francesco Messina: qui sopra, «Adolescenza»; a sinistra, «Eva». Le due mostre a Roma e a Aosta
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