Se agli «animali non umani» conviene la cattività

Se agli «animali non umani» conviene la cattività LETTERE AL GIORNAl blÒ.cl.B. Se agli «animali non umani» conviene la cattività Una questione personale Sig. Dei Buono, non sono animalista, ma amo molto gli animali e proprio perché li amo sto male quando vedo chic, prigionieri delle tagliole profuse dai contadini, soffrono per ore e ore prima di morire, In un filmato offertoci da Geo qualche settimana fa ho visto che i visoni, lasciati liberi in Scozia o altra parte dell'lnghilterra, non vivono meglio di quelli allevati in cattività. Contro di loro, oltre ai nemici natdrali, ci sono i contadini stanchi delle loro razzie nei pollai c quelli che abitano lungo i corsi d'acqua su case galleggianti e che si vedono distruggere materassi e poltrone dai loro unghioni di visoni in cerca di cibo. Ho visto in provincia di Cuneo la caccia a unr volpe che aveva rubato un pollo. E' stata rincorsa tutu; la notte dai contadini di tutto ii paese con delle torce che l'hanno spaventata a mone, spingendoli verso la strada dove, abbagliata dai fari delie automobili e uccisa, ha finito i suoi giorni di libertà. I contadini, non p-ghi, l'hanno impalata a un albero co- . trofeo. Intorno a Torino nella colli la non passa giorno che qualche animale, soprattutto faine o anche qualche in¬ nocuo colombo, venga «steccato» con quattro chiodi a un albero! Gli animali di allevamento sono nati in gabbia e quindi non conoscono la «liberta' . Sanno soltanto che qualcuno da loro da mangiare, senza tribolare, vitamine comprese per migliorare la lucentezza della loro pelliccia. E. quando veri-anno uccisi, non avranno neanche il tempo di accorgersene perché la scossa dura una frazione di secondo. Ho avuto per 12 anni una cagnetta: essendo nata in casa, era feiice solo con noi perché questa era la sua casa e la sua famiglia. E' mona, avvelenata da un boccone, al giardinetto di corso Svizzera! Voglio dire agli animalisti di aprire gli occhi e di non bere tutto quello che gli opportunisti dicono loto. Adriana Sella, Torino Gentile signora Sella, chi intende con la definizione di opportunisti? Onesto non l'ho capito. 11 resto si, lei esemplifica dei falli in cui si può misurare il peggio dei rapporti tra animali umani e animali non umani, per concludere che agli animali non umani conviene la cattività, garanzia Ji sicuro man¬ tenimento e morte rapida. Sarà. Ma l'animalista è uno che, per prima cosa, lotta contro la propria affermazione come assassino e torturatore. E' una questione personale, lo.d.b.] La sciarpa presidenziale Preg.mo signor Del Buono, in questi tempi senza fine di quotidiane notizie relative a corruzione, disoccupazione, economia in dissesto, ruberie ecc. ecc. desidero esporle un argomento leggero per diluire un pochino le acque limacciose del nostro vivere. Intendo riferirmi alle lunghe, vistose sciarpe di colore vario che il nostro presidente Scalfaro indossa a ciondoloni sul cappotto, ahimè! anche nelle visite e cerimonie ufficiali. Personalmente, ritengo disdicevole per un Cupo di Stato ostentare un simile look che considero di discutibile gusto, certamente assai più adatto per shopping in via Veneto. Avverto, poi, maggiormente la stonatura di quel disinvolto abbigliamento allorquando, con andatura marziale, il Presidente passa in rassegna picchetti d'onore. Infine, con più ampio e libere accostamento, ma senza sfiorare il valore del personaggio, stride se quell'immagine la si accosta ai toni sempre sermoneggianti con cui il Presidente pronuncia i suoi discorsi. Possibile che nessuno del seguito presidenziale abbia avvertito l'opportunità di suggerirgli una variante all'aspetto? Se poi il presidente Scalfaro non volesse assolutamente rinunciare al vezzo della sciarpa a penzoloni, quindi all'originalità a tutti i costi, provi ad adottarne una... tricolore, ossia stile «tifoseria calcistica»: assumerà, perlomeno, sapore sfacciatamente patriottico. Qual è, cortese sig. Del Buono, il suo pensiero in proposito? L'occasione mi è particolarmente gradita per porgere fervidi auguri per la prossima festività, ma soprattutto che il nuovo anno la faccia desistere dalla volontà più volte espressa di lasciare questa rubrica, sarebbe, per tutti noi lettori, incolmabile perdita. Mario Giordanengo, Torino Gentile signor Giordanengo, non sarebbe affatto una perdita. Sono troppo malandato ormai per assicurare un servizio di corrispondenza decente. Lei mi chiede un parere sulla sciarpa presidenzia¬ le? Il mio parere è che nulla sfugge all'attenzione dei lettori de La Stampa. Tutti debbono stare in guardia. E i lettori, quindi, avrebbero bisogno di un servizio più vigile, 24 ore su 24, quale ho timore di non esser più capace di fornire. lo.d.b.) Tutti lì in piazzetta Caro signor Del Buono, quando rientravo dalla spiaggia, qualcuno mi ha chiesto se sapevo che era morto il maestro Richero. No, non lo sapevo, ero ad Abano e nessuno me lo aveva telefonato, per delicatezza. Vede come ci giudicano fragili quelli più giovani di noi? Qui io chiamavano tutti «u Maisciu» perché aveva allevato generazioni di allievi, per me era Mario, il perno della nostra banda. Ci si ritrovava tutti in una piazzetta sul mare che lui tentò invano di far intitolare a un amico torinese caduto in guerra. Quante scorribande in barca, in bicicletta, a piedi su per la collina a rubare frutta acerba! Quando studiava, per guadagnare qualche soldo, faceva la maschera nell'unico cinema di Alassio. Noi aspettavamo l'intervallo e lui, che distri¬ buiva le contromarche alla porta, ci faceva entrare per il secondo tempo. Quando veniva l'orchestra da ballo di Minari, passavamo ore aggrappati alla cancellata del Moulin Rouge per sentirlo suonare jazz col suo magico violino. Come sono state belle la nostra adolescenza e la nostra giovinezza! Credo di averglielo scritto una volta che tra la nostra generazione (1913-1918) e la vostra passano anni luce. Avete ragione a invidiarci, anche se poi la nostra ha pagato più della vostra. Ho visto Mario Richero l'ultima volta prima di partire per Abano. Mi prendeva in giro perché le scrivevo e io gli ho spie¬ gato che facevo d'impulso, quando mi prendeva uno «sciupun de futta» come a Govi. Mi ha tenuto su due piedi, lì per istrada, una lezione di dialetto ligure, mi ha spiegato che, quando si sposta l'accento tonico, si deve scrivere «o», pur continuando a pronunciare «u». lo già me ne andavo di fretta, si è girato ancora per dirmi: e ricordati «s» e trattino. Era un fine poeta dialettale. La nostra banda si riduce mese per mese. Per trovare qualcuno che dica «porco qui porco là» ci vuole un'interurbana e presto non basterà nemmeno quella. Scusi se le racconto queste cose, ma devo dirie a qualcuno. «Mamma» rispondono al telefono i miei figli, «ma non aveva quasi 80 anni?». E' vero, aveva quasi 80 anni e io vado per i 76, ma siamo ancora tutti lì in piazzetta e ne abbiamo 15. Se non mi prende uno «s-cioppun de futta»! Antonietta Seravalli, Alassio Gentile signora Seravalli, non si dia delle arie. Ha solo pochi mesi più di me, non si vanti di appartenere a un'altra generazione. A ogni modo, la ringrazio di cuore per il suo generoso tentativo di ringiovanirmi. [o.d.b.]

Luoghi citati: Abano, Alassio, Cuneo, Scozia, Torino