Che Guevara il guerrigliero fa il centravanti a Palermo di Enrico Deaglio

Una squadra di calcio dedicata al leggendario comandante Una squadra di calcio dedicata al leggendario comandante Che Guevara, il guerrigliero fa il centravanti a Palermo fti\ PALERMO I ™ E' un quartiere, in perife1 ria, dove il famoso rivolu1 i zionario viene chiamato al -5^ _J femminile: non «il» Che Guevara, ma «la» Che Guevara. E' infatti una società polisportiva con 300 tesserati e diverse squadre di calcio, una delle quali gioca nella Seconda categoria del campionato regionale siciliano, girone Q. Così il vecchio Che, ogni domenica, se la deve vedere con la «Vergine Maria», la «Stella d'Oriente», il «Torretta» o il «Cinisi»: con quest'ultimo però, quest'anno, niente da fare. Non ha ancora sbagliato una partita, mentre il Che veleggia, per altro dignitosamente, a metà classifica. Per andarli a trovare bisogna arrivare fino in fondo a via Messina Marine, dalle parti di borgate che si chiamano Settecannoli, Sperone, Bonagia, conosciute come il profondo Sud della città, terre dove sono labili i concetti di Stato italiano, vivere civile, lavoro, Lì, su campetti senza un filo d'erba, separati dal mare da una desolata terra di nessuno, si allena la Che Guevara, con la maglia a strisce rosse e bianche e la faccia stilizzata del medico argentino all'altezza del cuore. Bimbetti e ragazzini che per la sociologia nascono già a rischio e che invece, nel lessico calcistico, si dividono in Pulcini, Esordienti, Giovanissimi, Allievi Seconda categoria. Dopo la quale, per emergere, la strada è ancora lunghissima e passa attraverso di Prima divisione, Promozione, Promozione Eccellenza, Interregionale, che apre poi le strade alla mitica C2, quasi un miraggio. La realtà quotidiana qui si scontra con problemi pratici: per esempio quando il pallone esce dal campo bisogna andare a recuperarlo nella terra di nessuno in mezzo alle siringhe. La chiamarono così per sfida. La fondarono nel 1981 alcuni militanti della sezione pei della vicina via Oreto, quando decisero di partecipare anche loro al torneo cittadino patrocinato dai preti della cattedrale. Si presentarono al palazzo della Curia arcivescovile, severi e compunti, e diedero il nome: Ernesto Che Guevara. I preti mugugnarono un po', ma alla fine accettarono perché «tutto sommato quelli erano ancora tempi di compromesso storico». Poi successe, come in Don Camillo e Peppone, che la Guevara vinse il torneo battendo il Sant'Agata (che, a rigor di logica, dovrebbe chiamarsi «la» Sant'Agata) e si portò via il primo attestato ufficiale di benemerenza. Sono passati dodici anni. L'antica sezione pei, dopo essere passata al pds, ha chiuso i battenti e i suoi militanti sono sparsi qua e là. Ma la squadra è rimasta, probabilmente l'unica squadra di calcio che mette sulla casacca il nome di un rivoluzionario e la famosa faccia ce l'ha anche sulle borse e sul gagliardetto. A mandarla avanti sono quelli di allora: Caravello, Surdi, Adelfio, Lojacono, impiegati alle Poste, alla Croce Rossa, al porto, o negozianti. Ad allenarla - gratis - è una vecchia gloria del Palermo Calcio, il mediano Salvatore La Rosa, la cui storia non riporta alla politica, ma ai tempi d'oro del football in questa città, gli anni in cui il Palermo giocava quasi stabilmente in serie A e di cui si ricordano le imprese più gloriose. Come il 18 febbraio 1962, quando presero il treno (allora le squadre più povere si spostavano in treno), arrivarono al Comunale di Torino e batterono per 4-2 la Juventus di Charles e Sivori. Reti di Prato, Charles, Malavasi, Fernando e Tarcisio Burgnich. Tornarono a Palermo lunedì sera e trovarono una gran folla alla stazione. E due settimane dopo, altra grande sorpresa quando alla Favorita cadde l'Inter di Helenio Herrera, in corsa per lo scudetto. Tra i piccoli giocatori della Che Guevara (che oggi, alle 14,25, saranno a Rai Tre, a «Quelli che il calcio», condotta da Fabio Fazio) il nome della squadra è pronunciato in almeno dieci differenti accenti. «Non c'è molta curiosità», dicono i dirigenti. «Alcuni sono troppo piccoli e non capiscono, quelli più grandicelli sono come sbalestrati, perché la stessa faccia che hanno sulla maglia la vedono in televisione e allora chiedono». E voi cosa rispondete? «Rispondiamo che Che Guevara era uno che lottava per la pace, che stava dalla parte dei deboli, per il bene dei popoli. Ma soprattutto era uno che lottava per togliere i ragazzi da in mezzo alla strada. E i ragazzi non lo vedono male». Altro non dicono, non fanno propaganda, mentre il capellone barbuto compare come un fantasma ai ragazzi: dal tabaccaio è su una scatola di sigari, alla televisione il suo nome è sulle gradinate degli stadi, vicino ad ultras, fedayn, fedelissimi, leoni; sempre in tv compare in mezzo a bandiere rosse e operai con il fischietto. Una via di mezzo tra un calciatore e un sindacalista, penseranno. Comunque un tipo rispettato ben oltre i confini del quartiere: c'è da essere fieri. Questa fierezza è poi la ragione per cui la squadra venne fondata: una forma dì volontariato laico in una città che di volontariato ne ha poco e soprattutto cattolico, in quartieri di cui nessuno vuole occuparsi, con altissima evasione scolastica e tutto il catalogo di cattivi esempi che si possa immaginare. «Il problema», dicono i dirigenti della Che Guevara, «è riuscire ad agganciare i ragazzi e fargli copiare un modello che non sia quello del delinquente. Mettere in contatto i più poveri anche con il figlio del poliziotto o dell'impiegato, costruire un po' di amalgama e portarli con lo sport fino a diciott'anni con un po' di saldezza interiore. Perché poi è a questa età che i ragazzi di questi quartieri si trovano al bivio: o accettare un lavoro con bassissima retribuzione, o prendere la strada dell'arrangiarsi. La squadra spende circa 30 milioni l'anno e la Regione ci sovvenziona con soli 19 milioni 500 mila. Il resto lo mettiamo noi, con le collette, le lotterie e togliendo di nascosto i soldi alle mogli». Alla Che Guevara trovano strano che qualcuno si occupi di loro, non era mai successo. Di questa zona si parla poco. Una volta se ne parlò però, otto anni fa, perché dello Sperone era quel Salvatore Marino sospettato di aver ucciso il commissario Giuseppe Montana, che morì sotto interrogatorio nella questura e fu buttato in mare. Era anche lui un calciatore, aveva giocato nella Stella d'Oriente e poi nel Bagheria, gli fecero un gran funerale con la bara bianca e la maglia da centrocampista sopra. Sì, se la ricordano quella brutta storia. Ma perché parlarne ancora? La Che Guevara non ha mai avuto problemi del genere: è correttissima, mai squalificata o multata, spesso applaudita dagli avversari. E' andata a giocare con i ragazzi del carcere minorile Malaspina e due del Malaspina li ha avuti in affidamento. E poi ha i suoi gioielli che si sono fatti strada: Antonio Sparacio è arrivato fino in CI con la Casertana; Giacomo Piano è stato preso dal Messina; Giuseppe Lojacono è approdato al Giarre e Michele Adelfio, Salvatore Di Paola, Mauro Vassallo, Fabio Marino sono entrati nelle giovanili del Palermo. L'allenatore La Rosa potrebbe far parte di quella grande schiera di talent scout per le grandi società, ma non lo fa, un po' li disprezza, gli sembrano mercanti di carne. Lui preferisce i campetti incorrotti, ma ha nello stesso tempo tante richieste da fare: «Lo sa che in tutta Palermo esisteranno al massimo dieci campi pubblici? Lo sa che nei campi vicino allo Stadio, quelli dove si allena Antibo, non vuole più andare nessuno per la puzza di orina e per i furti? Lo sa che i campi di proprietà del demanio come questo dovrebbero essere affittati al massimo a 600 mila lire l'anno e invece qui ci chiedono 16 milioni e mezzo? Lo sa che qui di fronte al mare c'erano quattro campi e adesso ce n'è soltanto uno, perché gli altri sono stati adibiti a discariche, oppure ci hanno messo le baracche degli zingari? E che gli zingari hanno fatto andare via dal proprio campo la squadra di baseball? E che i carabinieri con le esercitazioni hanno rovinato tutto il fondo del velodromo?». Mille ostacoli, per la Che Guevara. I cui ragazzi però hanno visto, grazie alla squadra, un po' di mondo. Questa volta nel nome di un altro famoso personaggio, il portiere Carlo Mattrel, che giocò nella Juve, nel Palermo e nella Nazionale e morì tragicamente nel 1979 in un incidente stradale. Nel nome di Mattrel viene organizzato un torneo giovanile internazionale e così i ragazzi, tra treni, pullman e navi, sono andati fino a Cagliari, a Crotone, a Malta. E hanno ospitato a Palermo una squadra di Bucarest, Romania. Scoprendo che i romeni sono gran brave persone e ancora più poveri dei palermitani. Ancora adesso mandano gli auguri per Natale e i palermitani, rispondendo, allegano un foglio da diecimila. Uno ha anche mandato un vaglia da ventimila. «Vennero qui e noi eravamo incaricati dell'ospitalità, tutte le famiglie dei ragazzi erano disponibili. Però c'era un problema, perché qui c'è molta povertà. Non è povertà del mangiare, ma tanti hanno la casa messa veramente molto male e noi non volevamo fare brutta figura con i romeni. Così, con varie scuse, senza farci accorgere, abbiamo girato le case scegliendo quelle che potevano andar bene e al resto dei romeni abbiamo pagato noi l'albergo». Il torneo è stato bello, partecipava anche una squadra di Palermo, tutta di neri, che si chiama ufficialmente «Squadra Figli degli Immigrati», con la quale la Guevara ha fatto una sfilata terzomondista per il campo, un bianco e un nero, molto applauditi. E, nel nome dell'internazionahsmo, hanno ora un sogno: «invitare una squadra di Cuba. Pensa che sia possibile? Potremmo organizzare tutto noi. Per noi sarebbe il massimo». Se a Cuba sentono, rispondano. In fin dei conti il Che da giovane giocava al pallone, da portiere. Enrico Deaglio Volontariato e sport in una periferia «a rischio». La Polisportiva oggi in tv con Fabio Fazio Nella foto grande a sinistra e sopra: due immagini delle squadre. Qui accanto: Giuseppe Lojacono classe 1977. Sotto: Che Guevara