Io l'altra Anna Frank di Mirella Serri

Io, l'altra Anna Frank la memoria. In un libro di Lia Levi l'Olocausto in Italia I Io, l'altra Anna Frank «Scrivo contro le bugie di Fini» EROMA RA timidissima, e tale è rimasta. Ma non era per la sua ritrosia che le _I giovani fasciste, in visita ai bambini delle elementari della scuola «Coppino» di corso Vinzaglio a Torino nell'inverno del 1938, le passavano davanti e la ignoravano come se fosse stata trasparente. Lia Levi, ebrea, nata nel 1931 a Pisa ma di famiglia piemontese e vissuta a Torino fino al momento in cui le leggi razziali non costrinsero suo padre a rifugiarsi a Roma per cercare una nuova occupazione, non capiva che era la sua religione a renderla quasi invisibile. Da quell'inverno l'escalation avviata dal fascismo contro gli ebrei segnava per i Levi le tappe di un calvario quotidiano. A distanza di oltre cinquant'anni da quegli avvenimenti, la Levi, oggi direttrice e «fondatrice» dal 1968 del mensile di informazione ebraica Shalom, ha deciso di consegnare le sue memorie ad un romanzo di prossima pubblicazione da E/O, Una bambina e basta. E' un racconto autobiografico in cui la protagonista, con gli occhi di una piccola Anna Frank piemontese, osserva incredula e stupefatta quello che le sta accadendo intorno e ripropone polemicamente la dibattuta questione dell'atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti dei suoi correligionari. Nella rievocazione della Levi sono documentate le tappe della persecuzione antisemita che costringe la ragazzina e la sua agiata famiglia a cambiare città, a lasciare Torino per Roma. I Levi perdono progressivamente tutte le proprietà, vengono estromessi da ogni incarico e luogo pubblico, i bambini allontanati dalla scuola. Non tutte le speranze comunque apparivano perdute: Roma sembrava infatti l'ultimo baluardo della difesa della civiltà. La convinzione più diffusa era che nella capitale il Papa non avrebbe permesso né la deportazione né persecuzioni. Dopo che gli ebrei ebbero consegnato tutto l'oro che possedevano nelle mani dei tedeschi, anche tutte le carte e i documenti furono requisiti: i soldati portavano via armadi, interi cassetti della comunità senza nemmeno guardare quello che c'era dentro. «Ho cominciato a scrivere il romanzo due anni fa - racconta la Levi che ha alle spalle anche una carriera di sceneggiatrice radiofonica -. Ho impiegato tanto tempo prima di decidermi, poiché ero bloccata a raccontare quella che mi sembrava una storia di sofferenza minore di fronte alla tragedia dell'Olocausto. Sono contenta di averla scritta: adesso ricominciano a circolare discorsi che sono delle vere e proprie infamie come quelle del segretario del Movimento Sociale. Fini ha dichiarato che le leggi razziali emanate dal fascismo sono state un gesto di Realpolitik e che sono state nel complesso concepite e applicate in un modo molto soft, lontane mille miglia dalle nefandezze hitleriane». Appena fuori Roma c'era un grande convento, un educandato dove nell'ottobre del '43 le bambine Levi trovarono ospitalità. A fianco della massiccia costruzione in una villa appartenuta ad una famiglia ebrea e requisita dai tedeschi, i temuti soldati apparirono alla ragazzina molto diversi da come li aveva immaginati: belli, biondi, alti, dalle divise ben stirate. In convento Lia dodicenne si sentiva intanto attratta dal cattolicesimo. «Le reli¬ giose presso cui abitavo non furono molto abili né tempestive. Non seppero sfruttare il momento in cui ero quasi giunta ad una conversione. Se ci fosse stato qualcuno più preparato e qualificato dal punto di vista dottrinale, nonostante l'opposizione di mia madre, forse avrei abbracciato la nuova fede». Ma il convento era destinato, per tutte le ragazze ebree che vi erano nascoste, a rivelarsi un luogo non troppo ospitale: «Il Papa aveva deluso le nostre aspettative. E sulla protezione che ci veniva offerta c'erano molte ombre. Devo sottolineare che noi pagavamo una retta piuttosto alta e che c'erano continue discussioni perché non avevamo le tessere annonarie con cui sopravvive¬ re. So che si sono verificate circostanze in cui persone che non potevano mantenersi sono state mandate via da istituti religiosi. Certo non ho una controprova di quello che sarebbe accaduto se la guerra fosse continuata e noi non avessimo più avuto il denaro per il nostro sostentamento. Non c'è dubbio: esser poveri voleva dire avere una possibilità in più di essere uccisi o deportati. Adesso si sta perdendo la memoria di quello che è stata la persecuzione razziale. I giovani che a Roma e in tutta Italia hanno votato a destra queste cose le ignorano. Purtroppo è mancata una revisione critica di tutto quello che è accaduto». Mirella Serri La fuga a Roma, la vita tra le suore, una quasi-conversione «Il Papa deludeva le aspettative Per essere protetti dovevamo pagare» I A sinistra, un negozio di ebrei chiuso per le leggi razziali Sopra, un rastrellamento A destra, Anna Frank

Persone citate: Anna Frank, Coppino, Fini, Lia Levi