Martelli e Sama gran duello da Di Pietro di Claudio Martelli

L'ex numero due del psi: «Non ricordi? Mi giurasti che quelli erano soldi tuoi, non dell'azienda» L'ex numero due del psi: «Non ricordi? Mi giurasti che quelli erano soldi tuoi, non dell'azienda» Martelli e Sama, gran duello da Di Pietro Dura battaglia per definire la provenienza del denaro Il manager: ti confondi, noi ci siamo visti mille volte SMILANO UL piano dell'immagine, forse, ha vinto Martelli. Su quello della logica, ha forse prevalso Sama. Alla fine del duello il risultato è un pareggio. Ma un pareggio drammatico, in un'aula tesa, sotto l'occhio freddo e implacabile della tv. Il momento clou è stato quello in cui l'ex delfino (in bella grisaglia, atteggiamento sicuro, tic e smorfie sotto controllo, camicia azzurra e cravatta soberrima) ha messo in difficoltà Carlo Sama (in blu, faccia da ex manager incastrato, in contorsione e a disagio) ricordandogli le precise parole e le circostanze in cui avvenne la consegna nelle sue stesse mani di una valigiata da 500 milioni preconfezionati (ma lui non poteva saperlo) da Sergio Cusani. E' il punto cruciale del confronto: «Ricordi? - dice Martelli - Tutto avvenne a Ravenna in casa tua dove tu m'invitasti. Ma certo ho anche i testimoni. Doveva essere una colazione e invece fu solo spuntino: un solo bicchiere di vino con poche schegge di grana; purtroppo io andavo di corsa e non potevo permettermi vizi che non fossero solo i comizi della campagna elettorale. I soldi erano giù in macchina e mentre scendevamo le scale per andarli a prendere mi hai detto queste precise parole: "Oh, Claudio, sia ben chiaro, questi sono soldi miei e della famiglia"». "Sàihà ascolta è si contorce, si infila la mano dentro nel pantalone, dàlia parte della caviglia,' si gratta nervosamente il ginocchio: uno strano tic che si dice abbia copiato da Di Pietro durante gli interrogatori nel carcere di Opera. Soffre per negare il punto principale (l'origine del denaro), e si accanisce sui dettagli menzionati da Martelli: macché Ravenna, per me era Roma. Ma quali testimoni, eravamo soli io e te («Cattiva memoria», lo incalza Martelli). Quanto alla quantità, poi, si difende Sama, mi pare che si trattò di cinque o forse settecento milioni. Schegge di grana? Vin bianco? Bah, forse ti confondi con un'altra volta delle mille volte che ci siamo visti. E infine, restituisce il colpo: i soldi non erano affatto miei o della famiglia, ma dell'azienda: «Non mi pare poi tanto importante. Ravenna, Roma, soldi dell'azienda, soldi della famiglia... Che differenza c'è, che cosa cambia?» Eh no: è questo il punto. Martelli contrattacca: «Per me è importantissimo. Mai avrei accettato altri denari sottratti all'azienda. E tu questo lo sapevi, tanto che mi hai voluto tranquillizzare». Di Pietro davanti a Martelli ha dovuto abbassare un po' le sue pretese aggressive quando ha cercato di imporre anche a lui la via dell'umiliazione, uno dei leitmotiv di questo processo. Gli è riuscito con intensità variabile con Citaristi, Cirino Pomicino, persino un po' con La Malfa e con Altissimo. Ma con Martelli non gli è riuscito. Il pm ha provato a stringerlo, ma senza successo. La prima volta, quando Martelli elencava le sue necessità finanziarie di vicesegretario unico del psi. Il pm ha tentato il sarcasmo: «Dunque, lei vuol dire che l'amministrazione del suo partito pagava le spese politiche a tutti i deputati...». E Martelli: «Non ci siamo capiti: io non ricevevo dei soldi dal partito in quanto deputato. Li ricevevo in quanto vicesegretario unico. E se in un giorno dovevo fare dieci discorsi in dieci posti diversi avevo bisogno di un aereo a noleggio». Di Pietro ha cercato di segnare un altro punto: «Dunque lei era al corrente che il denaro di cui faceva uso attraverso le casse del partito era stato rubato?». E Martelli tagliente: «Tanto quanto quello che ha retribuito decine di grandi manager di imprese». Ma va anche detto che qualche dubbio sulla sua versione resta. Infatti, se è vero che ieri Martelli ha impartito al ruvido pm anche qualche colta lepidezza filosofica («Hegel diceva che con la dialettica avrebbe saputo dedurre dalla sua penna persino lo spirito santo»), è anche vero che sulla sua versione dei fatti incombe la minaccia della logica. E cioè: ammesso che le cose siano andate come sostiene Martelli, che interesse avrebbe Carlo Sama a negare che il mezzo miliardo provenisse dal suo portafoglio personale? Martelli viceversa ha tutto l'interesse a sostenere di aver ricevuto soltanto contributi amicali tenendosi alla larga dalla madre di tutte le mazzette, perché il rientro in politica è possibile soltanto in due modi: o attraverso il lavacro della pubblica confessione, oppure con la dimostrazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell'innocenza di fronte a ogni accusa di vera a propria corruzione. La mancata denuncia ai sensi di legge di un contributo volontario è peccato veniale, come ha già dimostrato La Malfa. Su chi comandasse ieri nella vecchia coppia Martelli-Sama, è apparso chiaro fin dalle prime battute. I due, messi di fronte, si sono scambiati soltanto gelidi saluti. Sama ha cercato, prima che rientrassero i giudici in aula, di rompere il ghiaccio. E poiché Martelli aveva davanti a sé un tavolinetto che a lui invece non era stato concesso, ha tentato l'invito giocoso alla regressione: «Come mai tu hai il banco e io no?». E Martelli: «Perché sono tornato a scuola. Ma sta tranquillo, non ti interrogo io». Traduzione psicologica: Sama propone di tornare insieme alla solidarietà contro la maestra. Ma la risposta è stata: stavolta io sto dalla parte della maestra, per te è finita. La giornata si era annunciata clamorosa fin dall'inizio. Claudio Martelli ha fatto il suo ingresso in aula, caso unico, dalla stessa porta da cui entrano i giudici e sembrava, anzi era, molto sicuro di sé. Dopo aver confessato di essere nato a Gessate in provincia di Milano il 24 aprile 1943, si è sentito chiedere dal presidente Tarantola se consentiva l'uso delle telecamere: «Grazie», è stata la sua curiosa risposta, a metà strada fra narcisismo e malinteso. Quindi ha sfoderato la sua metafora preferita: quella matrimoniale che usò per la prima volta durante l'intervista alla Stampa, settembre 1992, in cui dette l'annuncio della sua consumata rottura con Craxi. Disse che si trattava di un «divorzio fra consenzienti» perché quando un ménage non va, non va: meglio prenderne atto da persone civili, senza urla. Così ieri ha spiegato che il «matrimonio» fra Gardini e Eni, diver¬ samente da quello suo con Craxi, non poteva funzionare fin dall'inizio, perché era «un matrimonio fra maschi»: mancava, par di capire, la femmina sottomessa. E anche i rapporti politici seguono la stessa linea metaforica affettiva o coniugale: quando il presidente Tarantola chiede a Martelli di raccontare la sua versione sul famoso scambio di opinioni sulla vicenda Enimont tra Andreotti, Craxi e Forlani, lui la racconta in modo tale che alla fine risalti il carattere «affettuoso» con cui Craxi fece notare che le sue erano soltanto opinioni personali a favore della privatizzazione. Restando in tema matrimoniale ha ricordato che fra Gardini ed Eni «il divorzio» andava avanti al punto che ormai bisognava fissare il prezzo degli alimenti, cioè delle azioni. E che fu allora che Gardini, il maschio della coppia, disse: «Il prezzo l'ho fatto io». Del resto Gardini, nuovo re sole, aveva provocato l'astioso rovello di Craxi e Andreotti dichiarando: «La chimica sono io». Martelli ha ripetuto di essere sempre stato dell'idea che Gardini dovesse comprare, e non vendere. Dunque, se la tangentona ha una logica compensatoria per chi ha fatto ben vendere, lui si chiama fuori. Vanamente Di Pietro gli chiedeva se la sua azione non meritasse egualmente un premio. Ormai era lanciato: il racconto del suo rapporto personale con Raul Gardini iniziò con una grande cena a Venezia fino ad evolvere in una vera «intimità», dunque preclusa ad ogni rapporto venale. Altra storia personale ed umana, invece, quella che lo ha legato e poi separato da Sergio Cusani, l'imputato virtuale di questo processo: ci troviamo qui al cospetto di un rapporto «fraterno», una amicizia virile fra compagni di lotte universitarie. A lui si poteva chiedere al massimo un aiuto per varare il giornale Reporter, o per avere testimonial gratuiti per uno spot (Lucio Dalla offrì la musica) sull'immigrazione. Il tema del divorzio e della trama amorosa coinvolge anche Sama, che spiega quanto fosse per lui complicato manovrare con Martelli ormai in crisi di coppia con Craxi. Dall'altra parte Cusani appariva saldamente legato al segretario socialista, cosa che, trattando con Martelli, procurava imbarazzo a Sama: quando una coppia è in crisi non è facile per gli amici comuni restare in buoni rapporti con l'uno senza dispiacere all'altro. Di conseguenza Cusani, cui non difetta la sensibilità, per non sembrare indelicato con Martelli in rotta con Craxi, ma suo stretto sodale, prega cortesemente Sama di recapitare al single Martelli la valigetta con 500 milioni che lui stesso gli ha preparato. Martelli ha ieri confermato che se avesse soltanto intuito la presenza di Cusani nella donazione, data l'aria che tirava in famiglia (e la certezza che Craxi sarebbe stato informato), si sarebbe tenuto prudentemente alla larga, sapendo quanto il suo ex coniuge politico fosse geloso e vendicativo. Argomenti rispettabili, ma che complicano la contabilità del famoso tangentone che si comporta come una fisarmonica oscillando nei «si dice» tra i 135 e i 150 miliardi. Così come nessuno può dire se la porzione originaria destinata a Craxi fu di 75, 80 o 60. Ma ieri si è registrato anche in questo portafoglio un altro colpo di scena. Si sapeva che Craxi, dopo quella grande torta del 1991, ne aveva poi avuta una seconda più piccola nel 1992: un miliardo e mezzo. Tutto sbagliato: si scopre in questa aula che la fetta era molto più grossa: 5 o forse 7 miliardi. Ma con una loro storia-edificante: bisogna dire che anche la spiritualità ha avuto la sua parte ieri, nella immateriale persona dello Ior, la banca vaticana che si occupò di trasformare Bot e Cct destinati a Craxi, in denaro contante. Lo Ior, per sua vocazione, sembra che compia questi servizi riscuotendo un santo obolo pari appena alla decima parte del malloppo originario (nel caso, circa 90 miliardi), garantendo in cambio il segreto confessionale. Sama svela dunque che il povero Craxi non aveva potuto ricevere nel 1991 tutto il miliardume di sua spettanza a causa della santissima cresta dello Ior. E che, per ripagarlo della fregatura subita, lo si dovette risarcire per il 1992, di quella somma da definire, ma che sta fra i 5 e i 7 miliardi. Ancora sulle coppie: Martelli ha ripetuto che Sama lo stimolava spesso a tradire Craxi invitandolo a mettersi con lui, che si dichiarava disposto a piantare a sua volta Gardini con cui la passione era da tempo finita. Forse per questo Martelli ci è sembrato un po' inviperito: scoprire che il suo pretendente partner gli offriva, come denaro proprio, soldi che invece erano stati forniti da Cusani, uomo del suo ex Craxi, lo ha indignato. Al punto che durante il confronto è arrivato a non guardarlo più, e quando si è alzato per abbandonare l'aula dall'ingresso riservato, non gli ha detto neanche ciao, non gli ha neanche lanciato una battuta sul banco di scuola e gli esami che non finiscono mai. Paolo frizzanti .S7 possono dare soldi leciti in cambio di niente, oppure sì possono dare soldi illeciti in cambio di qualcosa. Ma non capisco che senso avrebbe dare soldi illeciti in cambio di nulla. Claudio Martelli «Tutto avvenne a casa tua a Ravenna, davanti a un bicchiere di vino con poche schegge di grana. I milioni erano giù, in macchina...» Da sinistra il giudice Di Pietro e Carlo Sama durante l'udienza di ieri al processo Cusani

Luoghi citati: Gessate, Milano, Ravenna, Roma, Venezia