La Nube Purpurea mistero di Napoli di Domenico Rea
Già cento persone in ospedale, e gli esperti litigano sulle cause dell'inquinamento Già cento persone in ospedale, e gli esperti litigano sulle cause dell'inquinamento La Nube Purpurea, mistero di Napoli NAPOLI. «E' una nube tossica». «No, un virus influenzale». «Macché, tutta colpa di una crema da viso». Fioriscono le ipotesi degli esperti per tentare di spiegare il mistero dei ricoveri a catena che da quattro giorni stanno mandando in tilt gli ospedali di Napoli. Dalle 7 alle 13 di ieri, soltanto il Loreto Mare è stato preso d'assalto da 33 persone. Il bollettino reso noto ieri dalla questura ha indicato in 60 il numero dei napoletani che presentavano gli stessi sintomi: irritazione agli occhi, macchie sulla pelle, insufficienza cardio-respiratoria. Con i casi dei giorni scorsi l'elenco supera ormai quota cento. Fulvio Milone a pagina 15 CONTRARIAMENTE al luogo comune la psicologia dei napoletani è forse la più nordica che esiste nel senso che ognuno fa parte per se stesso in maniera rigorosa. E' lo stesso equivoco che esiste sulla sua allegria. Niente di più sbagliato. Il temperamento napoletano tende alla malinconia se non alla tristezza. Importante è il rumore: la forma barocca dell'allegria. Già un viaggiatore del Seicento, nel visitare Napoli, disse che la passione per i botti non consisteva nei farli belli a ghirlande o a riboboli, ma di sentire il rumore dello sparo. Più esso era forte, più la botta era bella. Ora in ur a città che le ha subite e patite tutte - pesti, terremoti, sprofondamenti o spuntamento d'improvvise montagne, come il Monte Nuovo a Pozzuoli nel 1500 - nulla può destare angoscia o apprensione, ma solo curiosità e meraviglia. Pochissimi popoli si sono comportati con fermezza, sen- za una lacrima, sotto i suoi 103 bombardamenti che gli buttarono addosso gli alleati. Tutti si aspettavano delle furibonde sceneggiate, ma la sceneggiata ha luogo a Napoli sempre che ci sia un pubblico che compiange e applaude. In ogni altro caso vige la legge del «si salvi chi può». Ora la «nube purpurea» (di Shiell) che è arrivata a Napoli era attesa da lungo tempo, da quando (fu creato il Vesuvio e la magica Solfatara) furono costruiti i giganteschi bidoni che contengono la benzina, una volta alle porte, ma ora dentro la città. A Bagnoli si convive con la puzza (dal 1910) della Ilva-Italsider; a Pozzuoli con quella da che esiste il mondo della Solfatara - puzza d'uova marce - e a Napoli col fetore di mille cose rancide e con i depositi petrolchimici. Si aspettava solo la sua eruzione come si aspetta da sempre quella del Vesuvio e che sia poi avvenuta era perfettamente prevedibile. L'aria del famoso mare non ha avuto un'influenza benefica perché il mare di Napoli, come dicono i suoi poeti, «è un bacile di sangue». Non è un mare da tifoni. Qualche volta s'infuria ma per la maggior parte vive pigro nelle sue quarantene. Ma c'è qualcosa di più. Questo Paese adora il consumismo come un Moloch e per il suo trionfo è disposto a dare la vita sua e dei suoi figli. In qualsiasi altra città è possibile almeno un principio di ecologia. A Napoli, che non ha avuto mai una via alberata, che non ha ville pubbliche, che alzava ai «pontoni» dei vichi montagne di merda per scacciare il terrore delle pesti, il puzzo di una nube infetta è una puzza tra le altre. In un paese che ha un proverbio terribile «si mparaviso ce sta na cantina, meglio è morì che sta senza vino» qualsiasi cosa accade in terra è nella accidentale natura delle cose. Domenico Rea
Persone citate: Fulvio Milone
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