Informale, tutto cominciò con un trio

Informale, tutto cominciò con un trio Paulucci, Chessa e gli altri: incontro di generazioni in una cruciale stagione torinese Informale, tutto cominciò con un trio Ma fu una affascinante storia digerii individuali W| TORINO I < ONTINUANO, prima e I dopo lo sbilanciamento 1 j «internazionale» propoli I sto a Rivoli - che pure ha dato un suo particolare contributo, ma più in catalogo che in mostra -, gli approfondimenti sulla ricca stagione torinese degli Anni 50 e 60. E' ora la volta, alla Galleria del Ponte fino al 30 dicembre, di «Informale e dintorni. Torino tra '50 e '60», ottimamente curata da Pino Mantovani: una scelta di 29 dipinti fra 1951 e 1963 di 20 artisti, dal decano Paulucci agli allora giovanissimi Aimone, Chessa, Campagnoli, Casorati, Saroni; oltre alle sculture di due diversamente grandi protagonisti della stagione, Garelli e Cherchi. L'introduzione del curatore, rilevata l'ambiguità dell'arte informale e la contraddittoria ricchezza dei riferimenti culturali, dall'esistenzialismo alla fenomenologia, prende innanzitutto in considerazione il trio di Soffiammo, Ruggeri e Saroni, Esso venne considerato allora e viene considerato oggi (penso alla mostra a Ferrara e Cento «Pittura e realtà» ove figurano quadri che qui ritrovo), come esemplare dell'approdo a Torino dell'informal-naturalismo «padano» battezzato da Francesco Arcangeli, attraverso il rapporto critico e operativo con Luigi Carluccio. Le opere in mostra dimostrano in realtà, sul comune fondamento culturale, una netta distinzione di personalità e anche di linguaggio: fra l'immagine, travolgente espressività del gesto cromatico nel «figurare» di Ruggeri, l'intricato - anche psicologicamente intricato - scandaglio nella materia naturale di Saroni, certo il più pensoso sulle proposte di Arcangeli, e il più morbido, tonale fantasticare di Soffiantino, non privo di con¬ nessioni con il tardo surrealismo nel sorprendente Vortice del 1962. Al di là di questa scontata e riconosciuta esemplarità, che già al momento coinvolgeva altri giovani - mi riferisco ad esempio ai preziosi esempi di Campagnoli e di Mauro Chessa -, il discorso di fondo della mostra è quello della molteplicità, ricchezza e alta qualificazione di prospettive comunque «moderne» in questo momento cruciale d'incontro di generazioni. Con una qualità tutta torinese che travalica le generazioni per realizzare e mantenere un forte senso di presenza e reazione individuale, non intruppata, nel tempo. Si vedano gli allora cinquantenni: la «scrittura» pittorica di Galvano, qui come negli altri stupendi esempi esposti dalla Martano, connette Michaux con Twombly; il grande solitario Rambaudi risponde alla pari a Fontana; Parisot è il più solido ponte con la gestualità parigina; e sono una bellissima sorpresa le grandi, cupe materie di Paola Levi Montalcini, la sorella di Rita troppo dimenticata dopo il passaggio a Roma. E le ulteriori individualità intermedie: oggi sull'onda dopo troppo lunga quarantena, come Carol Rama, raffinatissima ed eterodossa anche nell'astrazione; o in atto di dovuto recupero, come Mario Davico del quale è in preparazione la mostra all'Accademia Albertina, così come l'antologica che sarà dedicata ad Antonio Carena al Circolo degli Artisti. In questo spirito di incontro fra generazioni, le magiche «paste alte» monocrome di Gorza e l'iniziale, violenta Figura di Merz, fra Dubuffet e «Cobra», si incrociano con l'apertura al futuro di una Testa di Nino Aimone, una sorta di Dubuffet o di Fautrier già tradotta in videoimmagine. [m. ro.] f|| 3ip * Paola Levi Montalcini, «Nymphalis» (1957), esposta nella mostra che Torino dedica all'arte informale e dintorni tra '50 e'60

Luoghi citati: Cento, Ferrara, Roma, Torino